Filippo Penati (foto LaPresse)

Fine di una fake inchiesta: il sistema Sesto non esisteva

Annalisa Chirico

Prosciolto dal Gip l’architetto Sarno, l’uomo della (inesistente) tangente che inguaiò Penati

E’ufficiale, il sistema Sesto non è mai esistito. Dopo l’assoluzione eccellente di Filippo Penati, già presidente della provincia di Milano e sindaco di Sesto San Giovanni, viene assolto, anzi prosciolto, pure l’architetto Renato Sarno, indagato per cinque anni con l’accusa di concussione per induzione. Nessun processo per il professionista che, secondo il teorema della procura di Monza, avrebbe intascato nel 2009 una presunta tangente, mascherata da consulenza, da parte del costruttore Edoardo Caltagirone interessato a ottenere dal Comune di Sesto l’approvazione di una variante edilizia sulla ex area Falck-Vulcano. In particolare, sosteneva la pubblica accusa, l’allora direttore generale del Comune, Marco Bertoli, avrebbe indotto l’imprenditore a ingaggiare Sarno affidandogli una consulenza da un milione di euro, dei quali oltre 326 mila effettivamente pagati, a fronte di “prestazioni inesistenti”.

 

Adesso un provvedimento di otto pagine firmato dal Gip di Milano Mariacarla Sacco chiude definitivamente la vicenda giudiziaria, costola dell’inchiesta principale, quella riguardante Penati, ex braccio destro di Pierluigi Bersani, già suggellata dall’assoluzione. “Il giorno dell’arresto ero quasi stordito, non ci credevo. I finanzieri sono entrati in casa alle sette del mattino, ho pensato che si trattasse di un errore, di uno scambio di persona”, dichiara al Foglio l’architetto Sarno. La ritrosia verso i giornalisti è palpabile. “Mi hanno bollato come faccendiere e tangentista, la pm in aula mi ha definito un architetto da riporto. Ognuno fa il proprio mestiere, per carità, ma che senso ha lanciare offese gratuite? E’ davvero inevitabile il pubblico dileggio di una persona imputata, anzi reclusa e senza diritto di replica? Fino all’età di 65 anni non avevo mai avuto a che fare con un tribunale”. Dopo il trasferimento del fascicolo per competenza territoriale da Monza a Milano, la procura ambrosiana con il pm Paolo Filippini chiede l’archiviazione e pochi giorni fa il Gip mette la parola fine a una vicenda kafkiana costata a Sarno sei mesi di arresti. “Lo ricordo come fosse ieri: fui condotto dapprima in via Filzi per espletare le procedure di identificazione. Giunto nel carcere di Monza, fui collocato in una cosiddetta cella di transito dove ho trascorso quaranta giorni: eravamo in quattro ristretti in undici metri quadri, con due letti soltanto. Essendo io l’ultimo arrivato mi toccò il materasso per terra. Successivamente fui trasferito in una cella dove eravamo in tre con due brandine a disposizione. Le docce, il bagno, il cibo… ho sopportato condizioni detentive intollerabili, preferisco non aggiungere altro”.

 

Dopo l’arresto del 23 ottobre 2012, Sarno chiede un colloquio ai pm Walter Mapelli e Franca Macchia al fine di chiarire la propria posizione. Dovrà aspettare fino a gennaio dell’anno successivo. “Ho sopportato undici ore di interrogatorio cadenzate in quattro giorni. In quella circostanza ho avuto la netta impressione che non sarei mai uscito di prigione se non avessi assecondato la tesi di cui i pm si erano innamorati. Neppure un cenno alla presunta tangente da parte di Caltagirone, fui invece inondato di domande sui miei rapporti con Penati, mi chiedevano se lui mi avesse mai parlato di D’Alema o Bersani, ma io non avevo alcuna confidenza con l’ex sindaco di Sesto, lo incontravo sporadicamente in occasione di manifestazioni pubbliche o per questioni di lavoro, sempre in modo collegiale”. Interrogato di nuovo a febbraio, dopo oltre tre mesi di carcerazione preventiva, Sarno asseconda la tesi della procura dichiarando di aver operato come collettore di tangenti per conto di Penati e della sua fondazione “Fare Metropoli”.

 

Il mese successivo, ottiene la scarcerazione. Quando compare per la prima volta in aula nel processo principale, ritratta ogni accusa nei confronti del politico. ‘All’indomani dell’archiviazione Penati mi ha telefonato, ha pubblicato pure un post su Facebook manifestando una sincera solidarietà, nonostante tutto. Gli interrogatori in manette sono stati frutto di angosciosi condizionamenti. Ho subìto pressioni di ogni tipo, non ho retto. In quel momento sapevo che se non avessi detto qualcosa sul principale bersaglio dell’inchiesta non sarei uscito di prigione”. Adesso che la vicenda è chiusa, Sarno valuta con gli avvocati Marcello Elia e Fabio Cozzi, che hanno ricostruito in diciassette faldoni la complessa attività professionale urbanistico-edilizia effettivamente resa al costruttore Caltagirone, la possibilità di ottenere un indennizzo per ingiusta detenzione. “Ho sostenuto le spese legali nel corso di questi cinque anni, per non parlare dell’enorme danno economico. Il mio studio di architettura incassava circa tre milioni e mezzo di euro all’anno, con ventidue dipendenti. Oggi siamo rimasti in tre e il fatturato non arriva ai duecentomila euro”.

 

Un tracollo verticale, per la leggenda, già di per sé poco credibile, di una tangente da oltre 300 mila euro regolarmente bonificata e fatturata. “Ai pm non è venuto in mente che il mio studio potesse essere scelto per le sue competenze professionali e non per oscure ragioni. Negli anni abbiamo partecipato a centinaia di concorsi internazionali, nel 2001 ci siamo aggiudicati la ristrutturazione dell’intero complesso delle Nazioni Unite a New York, una commessa da 1,2 miliardi di dollari. Eravamo tra i dieci studi d’architettura più prestigiosi d’Italia, secondo la classifica del Sole 24 Ore. Abbiamo curato il restyling del palazzo Pirelli quando il presidente della Regione si chiamava Roberto Formigoni”. Il pensiero finale corre ai nipoti che non hanno ancora compiuto il decimo anno d’età. “Mi addolora immaginare che un giorno possano leggere su Google il nome del nonno appaiato a quello di tangenti e faccendieri. Il discredito professionale che mi è stato cagionato non è riparabile. A 71 anni la mia vita è perlopiù alle spalle, mi dispiace invece che decine di collaboratori, che si sono sentiti orgogliosamente parte della mia squadra, debbano affrontare le conseguenze di una inchiesta sbagliata. La nostra credibilità è stata spazzata via ingiustamente, e nessuno pagherà per questo”.

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