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La post verità chiamata intercettazioni

Luciano Capone

Il circo Consip svela l’inattendibilità della repubblica del pettegolezzo

Roma. L’inchiesta sulla Consip nel filone che riguarda il “Giglio magico”, il centro nevralgico del potere renziano, appare sempre più come una matrioska. Una fuga di notizie con dentro una fuga di notizie con dentro una fuga di notizie. L’ultima, su cui stanno indagando i magistrati della procura di Roma per violazione del segreto istruttorio, riguarda la pubblicazione sul Fatto quotidiano di un’intercettazione non penalmente rilevante tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano: “Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati”, dice l’ex premier al padre indagato per traffico di influenze illecite. E’ il 2 marzo, è appena uscita un’intervista su Repubblica in cui il commercialista Alfredo Mazzei riferisce di un incontro che Tiziano Renzi avrebbe avuto con Alfredo Romeo – l’imprenditore napoletano accusato di aver messo in piedi il sistema di corruzione per aggiudicarsi gli appalti Consip – e il “facilitatore” Carlo Russo, amico e coindagato di Tiziano. Il giorno successivo Tiziano dovrà essere interrogato dai pm romani e il figlio pare diffidare dei non ricordo del padre: “Non ti credo e devi immaginarti cosa può pensare il magistrato. Non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo”.

     

Il segretario del Pd ha ricevuto la solidarietà di gran parte del mondo politico (eccetto il M5s) per la diffusione delle intercettazioni. Renzi stesso dice che la pubblicazione di quelle frasi è “un regalo” che conferma la sua “serietà”. Ma Marco Lillo, il giornalista del Fatto che a distanza di qualche settimana ha messo quell’intercettazione in un libro già pronto per la stampa, scrive che Renzi parla al telefono in quel modo perché “sa che rischia di essere intercettato”. Quindi la chiamata di Renzi al padre potrebbe essere una furbata anziché uno squarcio di sincerità? Un escamotage per tirarsi fuori dal casino sapendo che poi ci sarebbe stata una fuga di notizie? Dov’è la verità? Lo stesso Lillo pochi giorni fa scriveva che Tiziano Renzi, sapendo di essere intercettato, lo avrebbe calunniato attraverso un depistaggio. Il padre di Renzi avrebbe infatti detto in alcune conversazioni di aver saputo dell’inchiesta di Napoli dal giornalista del Fatto, per far cadere su di lui la colpa della fuga di notizie e al contempo coprire i veri autori, nella consapevolezza di avere i telefoni sotto controllo. Questo accadeva a dicembre 2106. E chi ci dice che Matteo Renzi non abbia fatto lo stesso mesi dopo per apparire intransigente con il padre al centro delle accuse, quando ancora non si era scoperto che gli atti dell’inchiesta di Napoli condotta da Woodcock erano stati manipolati dal suo braccio operativo Scafarto?

    

Questa interpretazione paradossale dovrebbe indurre a riflettere sul valore delle intercettazioni in un’indagine, sulla loro diffusione indiscriminata, sulle intenzioni di chi le fa filtrare, sul valore di una conversazione per accertare la realtà dei fatti in un processo in contraddittorio tra le parti. Soprattutto all’interno di un’inchiesta come quella sulla Consip, che sin dall’inizio è stata un colabrodo, con continue diffusioni di atti d’indagine coperti da segreto e manipolazioni che, come in un gioco di specchi deformanti, hanno contribuito a rappresentare la realtà in maniera sempre più distorta. E hanno rovinato il minimo rapporto di correttezza tra inquirenti e indagati, spezzato il legame di fiducia tra la procura di Napoli e quella di Roma e anche all’interno di quella partenopea.

    

Era già surreale aver saputo attraverso una fuga di notizie che il ministro Luca Lotti e i vertici dell’Arma dei carabinieri erano indagati per fuga di notizie. Ma nessuno immaginava cosa si sarebbe scoperchiato con il passaggio dell’inchiesta alla procura di Roma per competenza territoriale. Il quattro marzo, quindi due giorni dopo l’intercettazione tra Renzi padre e figlio pubblicata ora, la procura di Roma revoca le indagini ai carabinieri del Noe a causa della ripetuta fuga di notizie. E’ il primo segno che i magistrati romani Paolo Ielo e Mario Palazzi, coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone, si fidano poco del lavoro dei colleghi napoletani. Infatti passano al setaccio il fascicolo e scoprono che l’informativa del capitano Scafarto è piena di manipolazioni e omissioni tutte volte ad aggravare la posizione dei Renzi. L’indagine napoletana finisce quindi al centro dell’attenzione per fuga di notizie e falso, ma dalla procura di Napoli si ribadiscono fiducia e collaborazione sia nei confronti dei colleghi romani sia nei confronti del Noe. Si cerca la quadratura del cerchio.

    

Ma la contraddizione non può durare a lungo e infatti esplode con una fuga di considerazioni di Woodcock in una fuga d’intervista a una giornalista di fiducia su Repubblica, in cui il pm partenopeo conferma pieno appoggio a Scafarto e descrive le manipolazioni del Noe come “errori”. Anche la fuga d’intervista, come le fughe di notizie, interviene nella distorsione della realtà e nel corretto funzionamento della giustizia perché interferisce con l’indagine della procura di Roma che invece indaga su un’ipotesi dolosa. Allo stesso tempo la fuga d’intervista di Woodcock, che ha dato impulso a un’azione disciplinare davanti al Csm, appare come una scorrettezza nei confronti del procuratore Nunzio Fragliasso, che aveva imposto la più assoluta discrezione con gli organi di stampa. Si capisce il perché della difesa d’ufficio di Woodcock quando Scafarto, interrogato per ore dai pm romani, dice che il capitolo contestato è stato suggerito proprio dal pm napoletano. A questo punto anche il procuratore reggente Fragliasso scarica Woodcock e il Noe.

    

Fughe di notizie e fughe d’interviste, per coprire manipolazioni e altre fughe di notizie. Doveva essere un’indagine per accertare fatti ed eventuali reati, invece l’inchiesta Consip si è trasformata nella costruzione di una realtà virtuale per fuggire dalle responsabilità reali. Il ministro della giustizia Orlando ha avviato le verifiche, sarà suo compito cercare di capire come stanno veramente le cose.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali