Andrea Ranocchia (foto LaPresse)

Quella "bestia" di Ranocchia

Simonetta Sciandivasci
Titolo sportivo più straniante del fine settimana: “Ranocchia, uomo del mercato”. Vero è che in tempo di saldi tutto sembra un'occasione, persino i lupetti in finto modal di Tezenis che puzzano assai di petrolio e pure un po' di pescheria, e vero è pure che sul mercato detta legge l'anarchia del pot

Titolo sportivo più straniante del fine settimana: “Ranocchia, uomo del mercato”. Vero è che in tempo di saldi tutto sembra un’occasione, persino i lupetti in finto modal di Tezenis che puzzano assai di petrolio e pure un po’ di pescheria, e vero è pure che sul mercato detta legge l’anarchia del potere, ma a noi il ragazzo sembra più un piccolo fiammiferaio che una calamita di portafogli e contratti multimilionari. L’Inter, mercantilista piagnona con “dieci stranieri e una bestia, Ranocchia” (così disse Berlusconi l’anno scorso, in uno dei suoi impeti stilnovisti), vorrebbe sbolognarlo e non ci sembra che il mercato spasimi per aggiudicarselo.

 

Lui, imbronciato di default dalla sua fossetta nera (sul mento, come quella di Kirk Douglas, che l’usava per sbrindellare i cuori, non certo per impietosirli), non s’affligge: sa che, mal che vada, gli resterà la carta della stepchild adoption, nell’Italia di Antonio Conte, nuda come sempre.

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