Massimo Cacciari. Foto LaPresse

"L'Europa è instabile e irrequieta per natura". Chiacchierata con Cacciari

Davide D'Alessandro

"Fare politica è destino comunque. La filosofia è un ingombro solo per chi si accontenta di sopravvivere". Parla il filosofo veneziano

Il nuovo “corpo sociale”, secondo Aldo Masullo, non si fa vestire dall’abito della vecchia politica. Quale dev’essere il nuovo abito?

Il “corpo sociale” è sempre in tensione con la “forma” politica. Oggi lo è quasi al punto di rottura. Ma la “forma” politica non deve affatto “vestire” il corpo sociale. Deve guidarlo.

      

Anche Corrado Augias le ha consigliato di non occuparsi più di questa "politichetta", di non scaldarsi più. Perché non riesce a farne a meno? È davvero scoraggiante registrare in tv la sua disperazione di fronte a chi non può comprenderla…

Fare politica è destino comunque. Sempre la si fa, in vari modi. Uno di questi è lottare per il potere politico. Tra i mezzi con cui si fa politica c’è oggi anche la tv. Sono importanti i contenuti che cerchiamo di mettere dentro.

     

Quando scrisse Geofilosofia dell’Europa avrebbe mai pensato di poter finire un giorno a Visegrad?

No, l’Europa era allora un principio-speranza.

   

Il nostro Continente è malato o malato incurabile?

È irrequieto e instabile per natura. Cioè, se si vuole, in-sano. Ma se vuoi “guarirlo” della sua inquietudine, lo ammazzi.

     

Il rigurgito nazionalista, per Jürgen Habermas, è più il frutto delle diseguaglianze che non la risposta ai fenomeni migratori. Concorda?

Sono perfettamente d’accordo con Habermas.

   

Perché Niccolò Machiavelli, a distanza di 500 anni, continua a non essere ascoltato?

Esattamente per il motivo che Machiavelli richiamava: chi sa non può e chi può non sa.

     

Che cosa dimostrano gli ultimi libri di Alberto Asor Rosa e Michele Ciliberto sul Segretario fiorentino?

La “lunga crisi” italiana. La difficoltà del nostro paese a rispondere alle crisi o svolte d’epoca. Allora si trattava dei grandi stati nazionali, oggi dei grandi imperi, Cina, Russia, Stati Uniti, India…

    

Che fine ha fatto il suo appello per salvare l'Europa firmato insieme ad altri intellettuali il 3 agosto scorso?

Ha dato vita a centinaia di manifestazioni e iniziative in scuole e università. Centinaia di associazioni hanno sottoscritto quell’impegno. Mi accontento.

    

La filosofia, nel desolante panorama attuale, è un ingombro o una risorsa?

Un ingombro per chi si accontenta di sopravvivere o addirittura pensa di poter tornare a qualche buon vecchio antico, una risorsa per chi voglia pensare criticamente e comprendere il proprio presente.

          

Perché i grandi filosofi italiani sono tutti anziani?

Forse perché lei non conosce quelli giovani. Ce ne sono e di grande valore, i Filoni, i Vegetti, i Valagussa, ecc. È la pigrizia dei giornalisti a non far vedere quelli affermati.

      

Li conosco bene, ma definirli “grandi” mi sembra prematuro e un tantino eccessivo. Piuttosto, ha finalmente compreso che cos’è “l’italian theory che circola per i mercati” di cui ha scritto nel suo ultimo libro? 

Una riedizione della “filosofia della prassi”, senza l’eroico idealismo dei suoi fondatori.

      

Invita a un recupero della lingua, del parlar bene. Dimmi come parli e ti dirò chi sei?

Dimmi come parli e ti dirò cosa puoi diventare.

     

Il momento che viviamo è paragonabile ad altri che ha vissuto nella vita? Insomma, ha visto di peggio?

Ho vissuto qualche tragedia (anni ’70). Farse così mai, speriamo tali rimangano.

      

Ha scritto che i tre fondamentali possibili, feritas, humanitas, divinitas, insistono nel profondo del ‘seme’ dell’uomo. Perché l’uomo tende quasi sempre verso feritas?

Perché obbedisce alla legge di gravità. Per natura si tende per forza alla madre Terra.

     

Che cosa può insegnarci ancora l’Umanesimo?

Una visione realistica dell’uomo, disincantata e non disperata. Il valore della memoria attiva-immaginativa. L’unità di filologia e filosofia.

      

Il suo ultimo libro, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, si avvale di uno splendido impianto iconografico. Non c’è filosofia senza arte?

Non c’è pensiero che non sia anche immaginazione, come non v’è linguaggio naturale che non sia metaforico.

  

La morte, per Severino, è l’assentarsi dell’eterno. Per lei?

Non lo so. È il problema del mio “eterno” fraterno dissidio con Severino. Lui lo sa, io no.

  

Su massa e potere ha già detto tutto Canetti o c’è altro da aggiungere?

Poco o nulla, davvero. 

        

Ormai solo un Dio ci può salvare o anche qualche altro?

Solo Dio salva: la frase di Heidegger è pura tautologia. Pensare (in tutte le sue forme) non lo potrà mai. Comprendere non c’entra nulla col salvarsi da ciò che si comprende.