Maurizio Ferraris

Filosofeggiando con… Maurizio Ferraris

Davide D'Alessandro

“Oggi Nietzsche riempirebbe il web di tweet. Heidegger è la prova provata che un nazista può anche scrivere un gran libro di filosofia. L’Università italiana sta meglio che in altri tempi, l’Italia peggio. Il mondo è pieno di marxisti immaginari che non capiscono un accidenti del presente. L’imbecillità è una cosa seria”

"Non esistono fatti, ma solo interpretazioni” è una massima geniale o dannosa?

È la rielaborazione geniale di una osservazione banale (“l’erba del vicino è sempre la più verde”, “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”, “ogni scarafone è bello a mamma sua” e simili) che, diversamente da tante osservazioni banali, ha il difetto di essere falsa, e in quanto tale dannosa, perché permette di dire che Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak, che si è abolita la povertà, che i migranti sono pagati dal Capitale Ebraico e, per buon peso, che non ci sono prove del fatto che a Auschwitz ci sia stato un genocidio.

Vattimo sostiene che il “Nuovo realismo” è una forma di ritorno all’ordine. Per lei?

Se il disordine è quello che ho appena menzionato, nulla è più auspicabile dell’ordine. Più seriamente, distinguerei tra l’ordine legittimo e l’ordine illegittimo. Il primo va rispettato, e sono certo che anche Vattimo lo fa, comportandosi correttamente in materia tributaria o non scappando dai ristoranti senza pagare. Il secondo va combattuto, e per farlo occorre essere realisti, altrimenti (succede più spesso di quanto non si pensi) la nostra non è un’azione, ma una mera fantasia.

È ancora convinto che l’autodidatta Dario Bernazza, con il fortunato O si domina o si è dominati, abbia compreso Nietzsche meglio di tanti accademici?

Non credo che gli accademici che sostenevano che la volontà di potenza non era volontà di dominio, bensì di emancipazione, non avessero capito il significato letterale dell’idea di Nietzsche. Semplicemente, la ritenevano (a giusto titolo) inaccettabile, non come analisi della realtà (le cose stanno proprio così: o si domina o si è dominati) ma come obiettivo morale e politico (dovremmo trovare un mondo diverso non più retto dalla logica del dominio). Ci si può chiedere perché andassero a cercare messaggi di pace e amore proprio in Nietzsche, ma la risposta non è difficile. All’epoca la dottrina egemone nella classe intellettuale italiana era il marxismo però – come aveva notato a suo tempo Lukács, che sapeva di cosa parlava – il marxismo impone troppe rinunce a un intellettuale (e in effetti anche a un non intellettuale). Meglio dunque inventarsi una rivoluzione immaginaria. Tutto era già scritto in un passaggio della Nascita della tragedia, che è insieme un capolavoro di Kitsch panterato e una coerente descrizione delle aspirazioni di un Potere Operaio sotto il segno di Zarathustra: “Sì, amici miei, cedete con me alla vita dionisiaca e alla rinascita della tragedia. Il tempo dell’uomo socratico è finito: inghirlandatevi di edera, prendete in mano il tirso e non vi meravigliate che la tigre e la pantera si accovaccino carezzevolmente ai vostri ginocchi. Ora osate essere uomini tragici: giacché sarete liberati. Accompagnerete il corteo dionisiaco dall’India alla Grecia! Armatevi a dura lotta, ma credete ai miracoli del vostro dio!”.

Che cosa rappresenta Nietzsche per la cultura contemporanea?

Oggi Nietzsche riempirebbe il web di tweet (il ricorso agli aforismi è premonitorio), e non riesco a immaginare che cosa non farebbe per strappare un like sulla sua pagina di Facebook. Anzi, riesco benissimo a immaginarmelo: scriverebbe esattamente ciò che ha scritto. Ecco perché è così attuale.

E Heidegger?

La prova provata del fatto che un nazista può anche scrivere (insieme a tante stupidaggini) un gran libro di filosofia, Essere e tempo.

I Quaderni neri vanno presi sul serio o no?

Vanno presi molto sul serio, come testimonianza storica. Ovviamente per chi ha la pazienza di leggerli. Sotto questo profilo, sono meno interessanti dei diari di Goebbels e dell’autobiografia di Speer, ma meritano.

Come sta l’università italiana?

Meglio che in altri tempi. C’è meno improvvisazione e più professionismo. Soprattutto, siamo consapevoli del fatto che l’università non è più un ghetto o un lazzaretto e se non interagisce col mondo esterno è destinata alla rovina (dico “ghetto” e “lazzaretto”, e non, come usa, “torre d’avorio” perché ho passato buona parte della mia vita professionale non in una torre d’avorio ma in un brutto palazzo pieno d’amianto).

E l’Italia?

Peggio che in altri tempi. Se l’università è più professionale, la politica ha deciso che il dilettantismo è un merito politico. Se l’università ha capito che non può chiudersi su se stessa, la politica è sempre più trincerata nel Palazzo, con la sola differenza che ora comandano i portinai del palazzo invece che i condomini.

A che cosa serve l’ermeneutica?

A interpretare testi e discorsi in base a competenze specifiche: giuridiche nel caso dell’ermeneutica giuridica, teologiche nel caso dell’ermeneutica teologica, letterarie nel caso dell’ermeneutica letteraria. A cosa serva l’ermeneutica filosofica non è mai stato chiarissimo, e lo dico con cognizione di causa avendo scritto in giovinezza una Storia dell’ermeneutica che dava ampio spazio alle ermeneutiche speciali.

Perché è importante ricostruire la decostruzione?

Perché l’idea di un sistema in filosofia non è affatto cattiva, anzi, è probabilmente l’unica ambizione appropriata per la filosofia. Solo che non basta criticare o (ed è lo stesso) interpretare, si tratta, una volta che si è interpretato e criticato bisogna ricostruire, e in particolare formare nuove categorie. Cosa che in coloro che oggi si appellano alla teoria critica o alla decostruzione non vedo troppo: c’è chi parla di capitalismo, come se fossimo ai tempi di Ford, e chi piange il crollo del comunismo senza prendere in esame l’ipotesi che il comunismo si sia realizzato, e che ci si debba chiedere che cosa fare dopo… I Romantici si lamentavano che in duemila anni l’Occidente non fosse riuscito a creare un nuovo dio, ed è una pretesa eccessiva; più modestamente, si potrebbe chiedere che in duecento anni si crei qualche nuovo concetto, invece che servirsi di uno strumentario fabbricato tra Kant e Marx.

L’iPad come specchio dell’anima. Non le sembra eccessivo?

Certo, l’iPad è molto meglio, se non altro perché sappiamo che cos’è.

Ha curato una Storia dell’ontologia, ma ha scritto anche Ontologia del telefonino e Ontologia degli oggetti quotidiani. Siamo caduti in basso o non sappiamo capire il presente?

Magari c’è stato chi ha rimproverato a Marx di occuparsi di Capitale invece che di Sapere Assoluto, ma Marx avrebbe potuto rispondergli che il Capitale era la cosa più vicina al Sapere Assoluto che l’umanità avesse mai saputo creare. E quando mi sono occupato di ontologia del telefonino non è stato per fare una cosa che piacesse ai lettori (sarebbe stato stupido: ai lettori piacciono i telefonini e non i libri sul telefonino, così come piace il sesso e non i libri sul sesso, ed è incredibile quanti autori si ingannino in materia). È stato perché (come Marx) sono convinto che negli apparati tecnici si manifestino i caratteri fondamentali della realtà sociale. Il Web, se vuole, è la mia tela, e il telefonino è il mio telaio.

Con la potenza e la prepotenza della tecnica, quale ruolo può avere la filosofia?

La filosofia è una tecnica, proprio come lo sono la politica (la basilikè techne di cui parla Platone), l’arte, e tutto ciò che di buono ha fatto l’umanità, a cominciare dall’umanità stessa, che nasce dall’incontro fra i bisogni di un organismo che ha tanti fini e pochi mezzi e le risposte di un meccanismo che ha tanti mezzi ma nessun fine in sé. Se vediamo un castoro che abbatte un albero con i denti, sappiamo che quello è il suo fine. Se vediamo una motosega, non pensiamo (a meno che siamo afflitti da un pernicioso animismo) che abbia intenzione di abbattere alberi. Ma un umano che, in quanto organismo, ha delle intenzioni, può servirsene per abbattere un albero, visto che non ha denti buoni come quelli del castoro. Dunque, è molto semplice: l’organismo ha dei fini; la tecnica, in quanto meccanismo, fornisce i mezzi; e l’umano è l’incontro fra un organismo non particolarmente dotato e dei mezzi tecnici (motoseghe e trattati di metafisica) che rimediano alle insufficienze dell’organismo. Coloro che parlano della tecnica come alienazione dell’umano, come un apparato che lo sommerge di mezzi e lo priva di fini, lo fanno partendo da una immagine idealizzata dell’umano come bravo ragazzo traviato dalla tecnica. Ma non è così: se uno si gioca tutti i suoi beni a poker, la colpa è sua, non delle carte.

Ho visto che sta elaborando Scienza Nuova, l’istituto di studi avanzati dell’Università e del Politecnico di Torino dedicato a Umberto Eco ed è fra gli animatori della Summer School in Media Ecology e Comunicazione Digitale, Camogli, 9-22 giugno 2019, www.school-of-communication.it. Inoltre, ha realizzato un magnifico manuale di storia della filosofia per i licei, Pensiero in movimento. Che cosa l’ha spinta e qual è l’obiettivo che si prefigge?

Sono davvero felice del suo apprezzamento, e spero che sia condiviso. Perché l’ho scritto per poter esercitare un influsso effettivo e, mi auguro, positivo, sulle future generazioni, che (in paesi come l’Italia, in cui è previsto l’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie) conoscono la filosofia per due tramiti: il professore e il manuale. Per quel che mi riguarda, conservo un’eccellente e grato ricordo dell’uno e dell’altro, ma da allora è passato quasi mezzo secolo, e mi sembrava doveroso, dopo una vita privilegiata che mi ha permesso di passare il mio tempo a studiare filosofia, scrivere un libro che aspira a essere di pubblica utilità, e a finire in tante mani e magari anche in qualche testa.

Che cosa definisce un filosofo teoretico?

Uno che può parlare di telefonini e di animali così come di Zarathustra, di numeri e di debiti. Ossia, in poche parole, un filosofo teoretico è un filosofo e, reciprocamente, ogni filosofo è un filosofo teoretico. Nell’ordinamento universitario non è così, anche perché l’ordinamento classifica professori e non filosofi (ogni professore di chimica è un chimico, ma non ogni professore di filosofia è un filosofo). Ma conosco tanti professori di filosofia morale, di filosofia del linguaggio o di estetica che potrebbero benissimo insegnare filosofia teoretica, e viceversa. Così come conosco alcuni professori di filosofia morale, di filosofia del linguaggio, di filosofia teoretica, di estetica, che farebbero meglio a non insegnare. Per non circoscrivere l’insegnamento dei capaci e per non dare uno spazio immeritato e dannoso agli incapaci sarebbe opportuno abolire i cosiddetti “raggruppamenti scientifico-disciplinari”, assurdi in molti campi, e soprattutto in filosofia, tanto più in epoche come la nostra in cui non si fa che parlare (a ragione) della necessità di competenze interdisciplinari.

Quanta verità c’è nella post-verità?

Per i potenti, quella di La Fontaine: la ragione del più forte è sempre la migliore, e se il Presidente degli Stati Uniti dice bugie si tratta di post-verità. Per tutti gli altri, quella di Fontenelle: se uno vuol credere in un oracolo, nessuno glielo può impedire. Con l’aggravante che (diversamente dai bugiardi classici) tanto il Presidente quanto il no vax o il terrapiattista sono convinti di dire la verità, il che non costituisce una attenuante ma una aggravante, perché denota scarsa intelligenza.

Goodbye, Kant! Perché?

Perché no? In filosofia non c’è nulla di così infimo che non meriti di essere considerato, e nulla di così sommo da non poter essere criticato. Kant non è Dio, e sorprende (ci faccia caso) che gli stessi che vanno in brodo di giuggiole nel citare Nietzsche e la morte di Dio urlano al sacrilegio se uno dice Goodbye a Kant.

Qual è la mente filosofica che potrebbe esserci di grande aiuto per comprendere il complicato tempo presente?

Marx. Ma un Marx capace di leggere il presente, un Marx del XXI secolo. Mentre il mondo è pieno di marxisti immaginari che non capiscono un accidente del presente e che propongono (o fingono di proporre) rimedi da XIX secolo. È come se Marx avesse suggerito la conquista del Messico come soluzione per la questione operaia del suo tempo.

Ha scritto che l’imbecillità è una cosa seria. Perciò se ne è occupato?

Sì. La cosa interessante è che qualcuno si è stupito, mentre non si sarebbe stupito se io avessi scritto un saggio sull’Alienazione, come se quest’ultima fosse un serio problema filosofico, mentre l’imbecillità è una cosa di cui si ride, ma non una cosa seria. Ma nel momento in cui le fabbriche in cui l’umanità si alienava sono scomparse l’alienazione ha cessato di essere una cosa seria, anche se molti continuano a prenderla sul serio pretendendo che se uno passa il suo tempo a guardare film pornografici è alienato dal Kapitale, mentre è semplicemente un imbecille che non ha niente da fare e, cosa ancor più grave, non ha niente da fare perché è un imbecille. Come negare, a questo punto, che l’imbecillità è una cosa seria, forse una delle più serie?

Tempo e memoria contano ancora? La documentalità è ancora il carattere costitutivo della società?

Più che mai, basti dire che il capitale del XXI secolo sono i Big Data, cioè i documenti che ognuno di noi produce in ogni istante della sua vita, nella maggior parte dei casi senza volerlo e senza saperlo.

Questa intervista è un fatto o un’interpretazione?

È un fatto che contiene delle interpretazioni. Il contrario, un’interpretazione che contiene dei fatti, è anche possibile, per carità. Ma sono sicuro che ai nostri lettori interessa di più la prima che non la seconda.