Luca Farruggio con Massimo Cacciari

De mundo pessimo, quel che i Cristiani dimenticano

Davide D'Alessandro

Nel libro di Luca Farruggio l’ultima parola viene lasciata al dubbio e all’inesprimibile, poiché la fede è un discorso su cose che non si vedono, il pensiero non riesce a cogliere la totalità e la poesia viene smentita di fronte alle tragedie quotidiane

Per Platone “la conoscenza del bene e del male è la stessa”. Dalla nota asserzione prende spunto Luca Farruggio, in Del pessimismo teologico (Il Prato, 2017), per affrontare alcuni aspetti problematici della religione cristiana, lasciando tramontare definitivamente quelli più consolatori. Il libro è un dialogo tra un teologo, un filosofo e un poeta. Il teologo è il difensore del “pessimismo teologico”, il filosofo è uno scettico vicino alla visione scientifica contemporanea e il poeta testimonia un amore sconfinato che cerca di conciliare, attraverso la bellezza, le diverse posizioni degli altri due pensatori. È il modo in cui Farruggio (cristiano, filosofo e poeta) cerca di fare chiarezza nel suo pensiero. L’autore, infatti, laureato in filosofia al San Raffaele di Milano, ha scritto diversi libri di poesia (il più apprezzato è Gesù al bar, pubblicato con &MyBook nel 2010) ed è un assiduo frequentatore del Monastero di Bose.

La religione cristiana è certamente una risposta ottimistica al dolore dell’uomo. Ma il teologo mostra le aporie interne al cristianesimo e al suo messaggio escatologico. Per pessimismo non si intende solo il lamento dell’uomo che porta la sua croce (Farruggio è convinto che ci sia un cristiano solo dove appare un imitatore di Cristo), ma soprattutto il fatto che il pieno compimento della Gloria accadrà solo quando il Peggio (l’Anticristo) si sarà affermato con tutta la sua perentoria violenza. Come si pone un cristiano di fronte al mistero del male? Come deve testimoniare il suo essere per il Bene? Emerge così il tema del katechon, affrontato anche in Il potere che frena da Massimo Cacciari, uno dei maestri di Farruggio.

Nella presentazione del libro, Giuseppe Girgenti definisce la filosofia di Farruggio uno “sgalambrismo cristiano”. In effetti, le tensioni apocalittiche, pessimistiche e drammatiche presenti nel libro si avvicinano ad eccelsi temi trattati da Manlio Sgalambro. Ma il pensatore di Lentini, che l’autore ha conosciuto, studiato e stimato - sua la prefazione a Bugie estatiche (Il Filo 2006), primo libro di poesie pubblicato da Farruggio - non ha mai trattato il tema da un punto di vista cristiano. L’autore più vicino, eppur mai menzionato esplicitamente, sembra essere Sergio Quinzio con la sua teologia della croce, la tensione catastrofica della fede e la disperata attesa del Figlio e del Giorno del Signore.

Le domande che nascono da una fede disperata sono fondamentalmente quelle più ardite: il mondo riuscirà a farsi nuovamente Uno calpestando definitivamente il Nemico e la Morte? Il “discorso della montagna” si realizzerà in Cielo o resterà soltanto una delle pagine più favolose del Vangelo? Il teologo prova a dare risposte, il filosofo cerca di confutarle e il poeta tenta di mostrare il bello che si nasconde in ogni cosa. Ma sembra che l’ultima parola venga lasciata al dubbio e all’inesprimibile, poiché la fede è un discorso su cose che non si vedono, il pensiero non riesce a cogliere la totalità e la poesia viene smentita di fronte alle tragedie quotidiane. In questa Verità tutta da scoprire, ogni lettore può parlare con i personaggi del dialogo e interrogarsi nel profondo dell’angoscia sulla propria fede, sulla propria vita e sulle proprie idee. Questo libro ci invita a sostare nel Getsemani, tappa necessaria e indispensabile prima di sperare disperatamente nella sempre più incredibile Resurrezione dei corpi.