Jean-Jacques Rousseau

L'occhio vivente di Jean-Jacques Rousseau

Davide D'Alessandro

Da Starobinski a De Simone, l’Alchimia del segno di un autore attuale che nella complessità delle sue pagine rappresenta sempre un problema per sé stesso

Una difficoltà interpretativa attiene al rapporto tra Rousseau/scrittore e Rousseau/pensatore. Nell’opera rousseauiana i problemi che si incontrano riguardano l’uomo, la natura, la storia, il progresso, la civiltà, l’alienazione, la filosofia, la teoria politica, il pensiero utopico, la società, la personalità umana, il linguaggio, la scrittura, l’immaginazione, il male, le scienze dell’uomo, la religione, la morale, la solitudine, la comunità, ossia problemi complessi e appassionanti, al contempo attuali e inattuali. Rileggere tali problemi è il “problema” per eccellenza. Antonio De Simone, fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, avvia con Alchimia del segno (seconda edizione aggiornata e ampliata, Mimesis 2013) una lettura che sia al contempo lettura di Rousseau, del problema-Rousseau e dei problemi rousseauiani e del dopo-Rousseau come problema.

Ha scritto Marco Menin: «Ripubblicare, a distanza di quasi trent’anni, un saggio su un pensatore della grandezza di Rousseau è di per sé una scommessa intellettuale. Farlo a ridosso del tricentenario della nascita del Ginevrino – anno segnato da una vertiginosa accelerazione dello slancio della ricerca accademica in tutto il mondo – rende la sfida ancor più difficile e, di primo acchito, ardita. La scommessa, occorre dirlo sin da subito, è vinta come meglio non si potrebbe». 

Per vincere la scommessa, il filosofo italiano rifugge da ogni schematismo assolutista, accettando alcune delle linee guida che hanno fornito i rispettivi modelli: “marxista”, “liberale”, “freudiano” e “strutturalista”, senza considerarne soltanto uno a scapito degli altri. Il modello marxista enfatizza infatti il Rousseau politico, come il liberale, che pure fa arbitrariamente di Rousseau il precursore dei miti carismatici e degli autoritarismi contemporanei. Di contro, il modello freudiano applica allo stile di pensiero del ginevrino le principali categorie della psicoanalisi, mentre quello strutturalista ne fa il fondatore delle moderne scienze umane.

Rigettando quindi una sola visione, De Simone ritiene che in L’essai sur l’origine des languages si concentri l’attuale modello storiografico, in quanto lo scritto affronta i problemi del linguaggio e della comunicazione, che sono quanto mai attuali e largamente avvertiti come problemi centrali di senso e di significato nel destino della ragione e della libertà, delineando il passaggio cruciale dai problemi-di-Rousseau al dopo-Rousseau-come-problema, mediando così l’incidenza dell’autore-Rousseau con il momento storico-culturale contemporaneo. Ma, si chiede De Simone, «quale relazione simpatetica si stabilisce tra il progetto di pensare il proprio tempo storico e la lettura della scrittura rousseauiana?». La risposta a tale interrogativo «risiede nello stile della scrittura rousseauiana, nella sua prorompente e vibrante tensione teorica, ontologica ed etica, nelle sue irresolubili antinomie filosofiche: uno stile che è cifra e traccia della complessità reale della soggettività moderna».

Esiste insomma un Rousseau “errante”, straniero al mondo, che nella sua personale esistenza intraprende un continuo viaggio alla ricerca delle migliori condizioni di vita, ma che in questa dimensione vagabondiera non iscrive solo l’esperienza personale e individuale, ma anche il viaggio “pericoloso”, solitario e immaginario della riflessione che pervade tutta la sua opera. Praticando sentieri inediti e percorsi impervi, aggrovigliandoci in questo suo eccentrico itinerario di scrittura, guidati dalla mappa del sapere filosofico, possiamo dunque arrivare a Rousseau senza essere necessariamente partiti da lui. Secondo De Simone, «è partendo da questa latitudine critica che si costituisce lo stile della filosofia rousseauiana che può, a sua volta, essere letta ermeneuticamente e storiograficamente come scrittura filosofica sperimentale e della quale è poi possibile riconoscere quel che di attuale e/o inattuale c’è di consustanziale al mondo contemporaneo, un mondo abitato da una pluralità di linguaggi, della loro violenza, della loro “crisi” e della loro progettualità: una filosofia come scrittura, ecco un aspetto decisivo dell’incidenza di Rousseau nella modernità».

Se per tanti anni l’interpretazione ricorrente di Rousseau era quella che derivava dal contratto sociale, la ricerca storiografica più attenta e scrupolosa ci fornisce un’immagine più complessa del filosofo ginevrino a partire dall’analisi della sua intera opera. Sono ancora tante le letture esegetiche e critiche. La sua scrittura continua a subire, nel corso del tempo, numerose riscritture da parte degli interpreti più autorevoli (Marx, i freudiani, Starobinski, Althusser, Derrida, Barthes e Foucault). Leggere Rousseau è una stimolante messa in questione del “problema-Rousseau”. Leggere significa interrogare sia il testo, sia la scrittura, dal cui inestricabile rapporto si libra lo spazio dei significati, delle interconnessioni, dell’incontro o scontro tra l’esperienza immaginativa e le stratificazioni culturali sedimentatesi nel codice linguistico e critico del lettore.

Il nodo principale attiene al riconoscimento del Rousseau reale e al successivo disgiungimento con il Rousseau autore e scrittore. Nodo spinoso, che determina un’interpretazione soggettiva e, dunque, non “innocente” del testo rousseauiano, che trova il suo compimento nell’analisi della politica della parola perché, per De Simone, «nel confronto del suo testo c’è bisogno di una teoria-pratica della lettura di Rousseau: leggerlo significa ascoltare, parlare (e tacere), dire, scrivere e leggere della sua parola come del suo discorso, del suo savoir philosophique come del suo più intimo savoir de soi» e questo vale tanto più per un grande pensatore, in cui «il contenuto e il senso della sua opera non possono essere staccati dalla vita personale».

In Rousseau filosofia e vita risultano indissolubilmente intrecciate: in un continuo “cercle de soi” Rousseau (lo scrittore) e Jean-Jacques (l’uomo) si inseguono a vicenda, per cui leggere Rousseau significa scoprire cosa di un testo o di una pagina rimanda a un altro testo o a un’altra pagina, attraverso un continuo rimando circolare. Per dirla con De Simone, «il testo e la scrittura di Rousseau impegnano l’esperienza del lettore e dell’interprete, i quali incontrano la poliedrica versatilità immaginativa, critica, fantastica e sofistica di Jean-Jacques». E ancora, con le parole di Bronislaw Baczko: «In tutta l’opera di Rousseau, il movimento del pensiero è guidato dall’immaginazione e dal sogno. Un incontro dunque di due orientamenti del pensiero teorico, ma anche fusione di due sogni: il sogno politico della Città, nella quale il popolo possa esercitare sovranamente la sua libera parola, e il sogno linguistico di un linguaggio che assicuri alla Città una comunicazione libera da impacci».

L’occhio del lettore è sempre alle prese con lo sguardo di Rousseau, con quello che Jean Starobinski ha definito “l’occhio vivente”. L’’interpretazione contemporanea trova Rousseau attraverso Rousseau: un autore attuale che nella complessità delle sue pagine rappresenta sempre un problema per sé stesso.