Un gruppo di manifestanti festeggiano la caduta del Muro di Berlino nel 1989 (Foto LaPresse)

Bonn, piccola Europa antica. Breve reportage di viaggio a trent'anni dalla caduta del muro

Matteo Scotto

Andare a Bonn è come entrare in un posto sconosciuto in cui tuttavia c’è qualcosa di vagamente familiare, sufficiente a richiamare una casa in cui in fondo non hai mai veramente vissuto. Perché Bonn per l'Europa è stata la fine di un nuovo inizio, un sacrificio necessario alla rinascita delle cose.  

Strano atterrare a Bonn nel 2019, a trent'anni dalla caduta di quel muro che poco più a est ricompose con un sussulto e senza far rumore i destini dell’Europa. Ancora più strano è arrivarci con trent'anni di vita sul groppone, nati quando la storia era già finita. Sì perché da lì in avanti la Storia — quella dei grandi — si sarebbe fatta altrove, con l’Europa dei tempi nostri ridotta come quegli attori che da protagonisti finiscono le loro carriere da comparse buone solo per il secondo spettacolo. Poi un po’ tristi invecchiano, muoiono e nessuno se li ricorda più. Così non ti rimane che qualche mostra e libro sotto il braccio per ritrovare le ultime glorie di un continente che oggi a stento ha qualcosa da dire e da dare. Tanto da domandarti alle volte se non siano una bufala tutti questi secoli di scoperte e invenzioni e grande cultura europea, tradendo incredulità su come sia stata proprio l’Europa a consegnare all’umanità quel poco di civiltà conosciuta. La stessa Europa oggi rattrappita, codarda, indifferente di fronte a qualunque nuova sfida e orizzonte. Per questo arrivare a Bonn è come fare un viaggio nel tempo, in un luogo che non sai se rimpiangere o di cui celebrare con gioia la fine. Sembra di entrare in un posto sconosciuto in cui tuttavia c’è qualcosa di vagamente familiare — un profumo o un suono — sufficiente a richiamare una casa in cui in fondo non hai mai veramente vissuto. Perché Bonn è stata la fine di un nuovo inizio, un sacrificio necessario alla rinascita delle cose. O almeno così ti viene raccontato. C’è l’Hotel Petersberg delle notti tra vincitori e vinti, ci sono le Nazioni Unite dell’Occidente spezzato, ci sono le vecchie ambasciate e ministeri, unici centri gravitazionali di un sistema tolemaico superato: patrimonio di un’Europa certo più piccola e divisa, eppure propensa al futuro e alla rivalsa. A Bonn non v’erano dubbi sulle basi da porre al futuro del continente europeo: unità, apertura, pace, liberalismo, democrazia. Si era in pochi, a Bonn, eppure quanto mai convinti di come l’Europa fosse imprescindibile al mondo e all’eredità della civiltà occidentale. A Bonn erano la politica, la progettualità e la creatività a fare da padrone, nel disegnare istituzioni all’altezza degli uomini e delle visioni da essi immaginate. Con una consapevolezza del presente e la lotta infaticabile e senza posa a un futuro senza speranza. Che a pensarci bene, vedere le foto di uomini come Adenauer nella metropolitana mette quasi in soggezione, come se in qualche modo fossi anche tu responsabile di intere generazioni incapaci di prendere la Storia per mano. Per tutto il resto e per chi non c’era, difficile immaginarsi il mondo di Bonn. Chissà se l’Europa di oggi non si sia spinta troppo lontano. Lontano da quelle certezze e convinzioni che inducevano spazio e tempo in una sola direzione, tracciando un sentiero tortuoso, di cui tuttavia si conosceva bene la fine. Davvero strano ritrovarsi a Bonn. Riparti e mentre la guardi dall'alto hai la sensazione che un intero continente abbia lasciato un vecchio porto senza averne mai più trovato un altro dove attraccare. 

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