Tim e OF: l'intesa possibile

Carlo Torino

Gli auspici di Franco Bassanini scardinano la pregiudiziale pubblica e aprono ad un confronto serio di strategia industriale.

Le reazioni all’intervista di Franco Bassanini, rilasciata a La Stampa, gettano un fascio di luce sulla pervasività di talune incrostazioni ideologiche, disgraziatamente predominanti, in una parte della classe dirigente nazionale. L’insondabile insufficienza delle nostre élite intellettuali, incapaci di affrontare un problema di natura eminentemente strategico-industriale-competitiva, affrancate dai dottrinarismi di un iper-liberismo logoro nella sua essenza geoeconomica.

In primo luogo, l’estrema complessità tecnica dell’operazione di scorporo della rete d’accesso, oggi in capo a Tim, non è peraltro priva di una risonanza squisitamente finanziaria, connessa all’entità del debito, che in pochi hanno ritenuto opportuno far rilevare. Fattore, quello finanziario, destinato ad incidere (sommovendo dinamiche già in parte evidenti) in misura significativa sulle scelte dei soggetti coinvolti: in modo particolare del suo principale azionista, la francese Vivendi. Un unico dato valga a render bene la misura della divergenza nei confronti del settore: 132%, è l’incidenza del debito finanziario di Tim sul fatturato, contro una media europea del 100 per cento, e con la spagnola Telefonica ben al disotto di quel valore.

Non è forse vero che le aperture di Arnaud de Puyfontain, “missus dominicus” di Vincent Bollorè, in tema di scorporo ­– argomentano, scettici e sagaci, i detrattori di Bassanini ­– non sono se non un tentativo di dissimulare le reali intenzioni del suo deus ex machina: il quale si ritiene voglia una Tim operante su un tronco organizzativo più agile; con meno debito, e libera da insopportabili pressioni regolamentari che le impediscono di riguardare a Mediaset nell’ottica della convergenza con i contenuti. È Possibile. Irragionevole è invece addurre certe tesi, certi sospetti, nel tentativo di confutare gli auspici (per ora) del presidente di Open Fiber.

Ma non basta: una società indipendente della rete potrebbe valere nell’intorno dei 20 miliardi, partendo da un Ebitda che si stima essere di circa 1,7/1,8 miliardi. È ragionevole ipotizzare una struttura di capitale con un debito nei pressi del 60%, lasciando emergere un patrimonio netto (a valori di mercato) di 8 miliardi. Un’opzione potrebbe essere quella della quotazione, con Vivendi disposta a diluirsi, lasciando una quota minoritaria alla Cassa depositi e prestiti attraverso Open Fiber, controllata in joint con Enel. Soluzione che avrebbe il pregio di salvaguardare l’interesse strategico della rete, e in pari tempo garantire la presenza di un’infrastruttura neutrale, aperta agli oltre trecento fornitori di servizi attivi sul territorio nazionale. Evitando altresì un’inutile duplicazione di rete Ftth (fiber to the home), e massimizzando le sinergie con la rete elettrica di Enel. Vi sarebbe una maggiore protezione dell’interesse nazionale (grazie alla presenza dello Stato), e in pari tempo verrebbe garantita una più equa dinamica concorrenziale in un settore in profonda­ – almeno quanto rapida – evoluzione tecnologica.

E se ciò venisse a costituire – come taluni sostengono a torto – un’originalità tutta Italiana in Europa, una singolarità nel panorama internazionale; ammesso pure che lo sia, quali sarebbero i termini del pregiudizio arrecato, e sopratutto nei confronti di quale categoria? Utenti o azionisti? Contribuenti o creditori o concorrenti ecc.? In verità, se alcuni paesi come Francia e Spagna si caratterizzano per la presenza di incumbent verticalmente integrati, nel Regno Unito Openreach opera in regime di separazione funzionale – sebbene controllata al 100 per cento da BT –, garantendo piena parità di trattamento con gli operatori alternativi (EoI). Ciò nonostante la traiettoria regolamentare britannica sembra orientarsi verso un’imminente separazione giuridica a tutti gli effetti, in relazione alla quale peraltro la stessa BT ha reso nota la sua posizione di sostanziale sintonia. Invano si tenta l’edificazione di improbabili parallelismi tra l’assetto britannico e il blando regime di separazione funzionale di Open Access in Telecom, che opera sì in conformità al principio di parità di trattamento nei risultati (EoO); ma in relazione al quale la stessa AGCom ha ritenuto rilevare nell’ambito di un approfondimento istruttorio il profilarsi di dinamiche chiaramente anti-competitive.