L'ambasciatore dell'Ue Giuseppe Perrone con il presidente Kais Saied in un fotogramma diffuso dalla presidenza tunisina
l'alleato scomodo
Saied, il dittatore preferito dall'Italia, umilia l'ambasciatore dell'Ue (che è italiano)
Il presidente tunisino convoca il diplomatico e lo redarguisce per avere incontrato il sindacato dei lavoratori che si oppone al governo. "Ha il controllo assoluto su tutto", ci dice il segretario generale dell'l'Ugtt che indice lo sciopero generale. L'avvocatessa Sonia Dahmani liberata dopo 18 mesi
Il presidente tunisino Kais Saied ha convocato mercoledì l’ambasciatore dell’Ue, l’italiano Giuseppe Perrone, per redarguirlo e accusarlo di “non avere rispettato le regole diplomatiche”. La “colpa” del diplomatico di Bruxelles è stata quella di avere incontrato Noureddine Taboubi, il presidente del più grande sindacato dei lavoratori in Tunisia, l’Ugtt, che rappresenta oltre 700 mila iscritti. Per Saied, quello che è nella prassi un incontro più che consueto fra un ambasciatore europeo e un’organizzazione della società civile è invece “una pratica fuori dai quadri ufficiali riconosciuti dal protocollo diplomatico”. Sui social, alcuni sostenitori del presidente tunisino, quelli più sensibili alla retorica della “resistenza” contro le ingerenze esterne, hanno diffuso foto di dileggio nei confronti di Perrone. Nelle stesse ore, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione che condannava la violazione dei diritti umani in Tunisia. Il testo riguardava soprattutto il caso di Sonia Dahmani, un’avvocatessa e influencer arrestata un anno e mezzo fa dopo avere criticato il governo per le sue politiche violente contro i rifugiati. E proprio ieri, dopo 18 mesi di detenzione, a Dahmani è stata concessa la libertà provvisoria, ma resta incriminata.
Ma nel caso della reprimenda all’ambasciatore Perrone per l’incontro con l’Ugtt le conseguenze potrebbero essere notevoli. “Noi non siamo semplicemente un sindacato, ma un’organizzazione nazionale impegnata nella gestione degli affari pubblici”, rivendica in una intervista al Foglio Sami Tahri, segretario generale aggiunto e portavoce dell’Ugtt. “Attualmente ci sono difficoltà legate all’equilibrio dei poteri, che tende a invadere le nostre prerogative”. Il riferimento è in particolare alla presentazione della legge di bilancio, che per la prima volta cancellerebbe la contrattazione collettiva sui salari, escludendo il dialogo con il sindacato. L’Ugtt, che in un primo momento aveva sostenuto lo scioglimento del Parlamento deciso da Saied nel 2022, ha radicalmente cambiato posizione col passare del tempo. “L’attuale governo ha un controllo assoluto su tutte le decisioni e rifiuta di impegnarsi in qualsiasi dialogo. Prevale la sua volontà di monopolizzare gli affari pubblici e tutte le questioni, comprese quelle sociali, emarginando gli organi intermedi, compresi i sindacati”, spiega Tahri. L’Ugtt, che durante le Primavere arabe ebbe un ruolo chiave nelle proteste contro il regime, ha indetto un grande sciopero generale nei prossimi giorni che richiamerebbe in strada centinaia di migliaia di persone. “Non abbiamo alternativa”, spiega il portavoce. In un quadro così delicato, l’incontro con il rapprsentante dell’Ue ha fatto infuriare Saied. “Ma l’ambasciatore dell’Ue aveva già incontrato altre organizzazioni prima di noi e ciò non aveva causato alcun problema né aveva suscitato alcuna reazione da parte di nessuno, comprese le autorità. L’Ue è quindi il bersaglio? E perché?”, si chiede Tahri.
La tensione sociale monta e le proteste si fanno sempre più significative. Oltre alla crisi per i salari che sono fermi, alla crescita economica che non è ancora tornata i livelli pre pandemia – un’eccezione in tutta la regione – c’è il caso di Gabès. Decine di migliaia di residenti nella città nel sud-est del paese protestano da settimane per il disastro ambientale causato dal polo produttivo di fosfato, che ha causato l’intossicazione di centinaia di residenti. Il governo però intende ampliare lo stesso l’impianto chimico. E poi c’è il movimento della Marcia contro le ingiustizie, un nuovo collettivo che sabato scorso è sceso in piazza cantando gli stessi slogan delle proteste del 2011, come “il popolo vuole la caduta del regime”. Negli ultimi mesi, oltre a centinaia di arresti di oppositori, avvocati e giornalisti, tutti accusati di cospirare contro la sicurezza dello stato, sono state ben 47 le organizzazioni della società civile chiuse con la forza, tutte accusate di essere eterodirette da forze occulte straniere e di essere finanziate dalla Open Society di George Soros, il miliardario ebreo diventato uno dei bersagli principali della retorica antisemita di Saied.
Nonostante il memorandum firmato nel 2023 con il Team Europe guidato dall’Italia e pari a 105 milioni di euro da spendere per arginare le partenze dei migranti, Saied continua a rappresentare un alleato scomodo. Le violazioni dei diritti umani, l’antisemitismo più violento, il tentativo di entrare tra le economie emergenti dei Brics e i flirt con russi e cinesi continuano a infastidire l’Europa. Intanto, fra i movimenti dell’opposizione si vocifera che “Saied è sempre più debole, è in difficoltà per le tensioni sociali ma anche per ragioni di salute”. Ci si chiede se i paesi europei – Francia e Italia soprattutto – ne siano coscienti e se si stiano preparando a un ipotetico “piano B”, con uno scenario post Saied.