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Via “il terzo mondo”
La stretta di Trump, che per un afghano killer vuole cacciare intere comunità di profughi
In aggiunta alle retate degli uomini mascherati dell’Ice, il presidente americano vuole bloccare qualsiasi nuovo arrivo da diciannove paesi che erano già stati individuati come una specie di “lista nera” lo scorso giugno e che aveva definito luoghi "non compatibili con la civiltà occidentale"
Ronald Reagan dedicò il suo ultimo discorso pubblico all’importanza degli immigrati per gli Stati Uniti. George Bush padre, dopo il crollo del Muro di Berlino, aprì le basi militari americane ai rifugiati dall’Europa dell’est. Bush figlio, dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, andò a visitare una moschea per mandare il segnale che il nemico dell’America erano i terroristi, non gli arabi in generale, nonostante i tremila morti appena provocati da 19 giovani dirottatori arabi. Donald Trump, successore di questa serie di presidenti repubblicani degli ultimi decenni, ha trascorso il giorno del Ringraziamento a dichiarare guerra a tutti “gli immigrati dal terzo mondo”, dopo che un afghano ha sparato a due militari della Guardia nazionale, uccidendone una, una soldatessa ventenne.
C’è un nuovo giro di vite in arrivo per gli stranieri negli Stati Uniti, che va ad aggiungersi alle retate che da mesi compiono gli uomini mascherati dell’Ice, l’agenzia federale per l’immigrazione. Trump vuole bloccare qualsiasi nuovo arrivo da diciannove paesi che erano già stati individuati come una specie di “lista nera” lo scorso giugno. Li definisce luoghi “non compatibili con la civiltà occidentale” e promette di metterli definitivamente al bando. Tra questi c’è l’Afghanistan, da dove veniva l’attentatore, arrivato sulla scia del caotico ritiro delle truppe americane da Kabul. Una circostanza che ha spinto il presidente a lanciare una nuova raffica di ingiurie contro il predecessore Joe Biden, accusandolo di aver riempito l’America di “terroristi” con le sue politiche sull’immigrazione.
A scatenare la furia trumpiana del Thanksgiving, arrivata da Mar-a-Lago mentre l’America sedeva a tavola per gustare il tradizionale tacchino, è stato un attacco terroristico avvenuto mercoledì sera nella capitale, a due passi dalla Casa Bianca. Rahmanullah Lakanwal, un afghano di 29 anni, ha attraversato tutto il paese dallo stato di Washington dove abitava con moglie e figli, per eseguire quello che sembra un gesto studiato per colpire militari americani. Il giovane ha sparato con un revolver calibro .357 contro due dei duemiladuecento soldati della Guardia nazionale che Trump ha schierato da mesi a Washington per combattere il crimine. Una dei due, Sarah Beckstrom, 20 anni, soldatessa della West Virginia, è rimasta uccisa. L’attentatore e l’altro militare sono entrambi feriti.
Lakanwal è un pashtun che ha fatto parte di unità paramilitari della Cia in Afghanistan conosciute come “Zero Unit”, accusate di aver utilizzato metodi brutali nella lotta a terroristi e talebani. Quando gli americani hanno lasciato Kabul nel 2021, per effetto di questa collaborazione con la Cia ha ottenuto di essere accolto con la famiglia negli Stati Uniti come profugo. Adesso Trump vuole una completa revisione sullo status di tutti gli afghani presenti sul suolo americano, ma sul suo social Truth e in dichiarazioni da Mar-a-Lago ha subito allargato il tiro, mettendo nel mirino un gran numero di paesi come già era avvenuto ai tempi del suo primo mandato. Joseph Edlow, direttore dell’agenzia federale U.S. Citizenship and Immigration Services, ha preannunciato che verranno ristretti gli accessi ai cittadini di diciannove paesi. “Metterò in pausa in modo permanente – ha scritto Trump su Truth – le migrazioni da tutti i paesi del terzo mondo per permettere al sistema americano di riprendersi”.
Sotto tiro sono finiti immigrati anche da luoghi che da tempo non costituiscono uno specifico problema per gli Stati Uniti. E’ il caso dei somali, che per qualche motivo sono stati al centro dell’ira post tacchino di Trump. Dopo il collasso delle istituzioni somale nel 1991, sulla scia della guerra civile contro il regime di Siad Barre, l’Amministrazione Clinton ne accolse a migliaia e oggi una comunità di 80-100 mila persone somale vive soprattutto in Minnesota. Per Trump, “stanno prendendo il controllo di quello stato, sono violenti, portano gang, causano un sacco di problemi”: una descrizione che non coincide con la realtà di quello che avviene nello stato governato da Tim Walz, l’ex candidato vicepresidente di Kamala Harris. Che l’ira trumpiana contro i somali abbia uno sfondo politico, lo conferma il fatto che non solo se l’è presa con uno stato governato dai democratici, ma ha anche puntato l’indice contro la deputata somala locale Ilham Omar, che è arrivata negli Stati Uniti come profuga: “Non accoglieremo più questa gente”, ha promesso Trump.