Ansa
L'inchiesta
Le donne di Cuba. Un rapporto su repressione, violenza di regime e abusi sistematici contro le attiviste
A pochi giorni dall'anniversario della morte di Fidel Castro, il resoconto dell'inchiesta di Amnesty International dimostra come il regime “sfrutti il ruolo materno per cercare di indurre le donne ad abbandonare l’attivismo". E manca una legge completa contro la violenza di genere
“Ci vogliono in silenzio, ma continuiamo a resistere: pratiche autoritarie e violenza di stato contro le donne a Cuba”. Così si intitola un rapporto di Amnesty International che denuncia la violenza e la repressione sistematica delle donne da parte del regime cubano. Un quadro di abusi contro attiviste, difensori dei diritti umani e giornalisti, tra cui minacce, aggressioni fisiche e pressioni familiari, per cui si richiedono misure di protezione urgenti e una legislazione specifica.
“Il trattamento che ho ricevuto è stato più crudele perché sono una donna e una madre”, ha denunciato un’attivista: “Mi minacciano attraverso i miei figli, mi insultano in pubblico e cercano di usare il senso di colpa come arma. E’ un tipo di persecuzione contro le donne che parlano apertamente”. Un’altra donna ha raccontato di essere stata aggredita fisicamente da un agente di stato durante la sua detenzione e costretta a sopportare commenti sessuali: “Il disgusto che ho provato è indescrivibile”. Il rapporto include testimonianze come quelle di Yenisey Taboada, madre di un prigioniero politico; Luz Escobar, giornalista indipendente; e María Matienzo, una difensore dei diritti umani.
Due giorni fa erano nove anni dalla morte di Fidel Castro, e il documento è arrivato a ridosso delle celebrazioni ufficiali. E quasi in contemporanea c’è stata anche una lettera che l’Osservatorio cubano dei Diritti umani ha inviato alla relatrice speciale dell’Onu, Alena Douhan, in risposta alle sue osservazioni sulle “ripercussioni negative” delle sanzioni americane per l’isola. “La miseria si deve al fallimento del sistema politico ed economico comunista”, vi era scritto. Una crisi peraltro ammessa come “una realtà” dal viceprimo ministro e ministro del Commercio e degli Investimenti stranieri, Oscar Pérez-Oliva Fraga, proprio all’apertura della 41esima edizione della Fiera Internazionale dell’Avana che si presenta come la principale vetrina commerciale del paese. Anche se ha poi insistito sulla “determinazione” del regime a “superarla” col “modernizzare l’economia”. Ma sempre in concomitanza dell’anniversario di Fidel era arrivata pure la notizia che il turismo, risorsa chiave, ha continuato a crollare: 20 per cento di turisti in meno rispetto a un anno prima. 1.477.892, contro i 2,6 milioni su cui il regime aveva puntato. E c’è stato anche un rapporto del Gruppo di lavoro sulla Detenzione arbitraria delle Nazioni Unite (Wigad) secondo cui Cuba è il paese al mondo con la maggior quantità di casi: 93 in sei anni.
Ma Fidel è morto proprio nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che peraltro trae origine proprio da un grave episodio di cui fu responsabile una dittatura latinoamericana: l’assassinio delle tre sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, che il 25 novembre del 1962 furono sequestrate, stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente da parte di sgherri del dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo. E così è venuto questo rapporto che, appunto, alla chiave della crisi aggiunge la denuncia di gravi abusi in un campo in cui il regime pretenderebbe di essere all’avanguardia. Invece si parla di perquisizioni corporali invasive, nudità forzata, stigmatizzazione legata al genere, alla maternità o all’orientamento sessuale, nonché l’uso di minacce contro i familiari per costringerli al silenzio o alle dimissioni dall’attività pubblica.
Secondo Johana Cilano Peláez, autrice principale del rapporto, i resoconti mostrano come il regime “sfrutti il ruolo materno per cercare di indurre le donne ad abbandonare l’attivismo”. L’inchiesta ha anche evidenziato minacce di limitare visite, cibo, medicine e comunicazioni per coloro che perseverano nella difesa dei diritti umani, oltre all’uso di pressioni su figli e partner. “Le donne nere hanno subito trattamenti più severi e la violenza fisica si è verificata prima rispetto alle donne bianche. Abbiamo anche osservato che le attiviste provenienti dai quartieri più poveri o più lontani dalla capitale erano più vulnerabili”. Il rapporto denuncia la mancanza di una legge completa contro la violenza di genere a Cuba, l’esistenza di un sistema giudiziario subordinato al potere politico e l’assenza di meccanismi di denuncia efficaci. Da ciò l’impunità, e gravi rischi per chi denuncia.
Luz Escobar, dal suo esilio in Spagna, ha descritto la costante sorveglianza, la censura, le interruzioni di internet e le molestie nei confronti delle sue figlie e del loro ambiente scolastico. Secondo lei, la denuncia pubblica rimane l’unica via da seguire: “Parlare apertamente è sempre utile. Il silenzio non ti protegge, ti isola”. Una petizione è stata iniziata per chiede alle autorità cubane di porre fine alle molestie e di adottare urgentemente una legge completa contro la violenza di genere.