Faide e valori

Gli elettori di Trump sostengono l'Ucraina. Rivolta pro Kyiv nel Partito repubblicano

Paola Peduzzi

Una parte del partito ribolle anche perché le rilevazioni tra gli elettori repubblicani confermano che il sostegno agli ucraini resta nettamente maggioritario

Vladimir Putin ha risposto ai tentativi americani di dialogo con lui  – tentativi corposi: più di imporre a Kyiv un piano di pace scritto a Mosca che cosa si può pretendere? – con un attacco massiccio sull’Ucraina, in particolare contro Kyiv, dove ci sono stati sette morti: 464 droni (di cui alcuni sconfinati in Moldavia e Romania) e 22 missili, compresi quattro missili ipersonici Kinzhal. Volodymyr Zelensky  attende di parlare o incontrare Donald Trump  con l’impazienza di un leader che vede ogni giorno i suoi cittadini morire sotto le bombe russe. E con una mestizia inevitabile dopo una settimana di caos diplomatico punitivo, Zelensky ha ripetuto: dateci le armi per difenderci, non possiamo permetterci pause. 

 

La Russia vuole pause e distrazioni, mentre si permette un altro lusso negato agli ucraini, cioè quello di rilasciare dichiarazioni ambigue e perditempo: Zelensky deve ubbidire subito (Trump gli aveva dato un ultimatum più ravvicinato delle sue classiche due settimane), Putin può aspettare a tempo indefinito prima di dire quel che dice sempre, cioè “no”. Questo è quel che concede l’Amministrazione Trump, o una sua parte (il segretario di stato Marco Rubio è il meno clemente nei confronti di queste imposizioni all’Ucraina), ma il Partito repubblicano, o una sua parte, ribolle. Non è certo la prima volta che assistiamo a scontri dentro al partito al governo: il corpaccione del conservatorismo tradizionale è stato dilaniato dagli avvoltoi del movimento trumpiano, i Maga, e spesso ha ceduto, altre volte ha rinunciato allo scontro. Lo abbiamo visto per esempio sul protezionismo e i dazi, un obbrobrio per la destra liberale tradizionale (oltre che un problema elettorale, visto che all’ultima tornata del 4 novembre i giovani, tanto per citare un segmento della popolazione che Trump si è vantato di aver conquistato, hanno votato per il Partito democratico proprio perché in questi dieci mesi si sono ritrovati impoveriti).

 

Ma sull’Ucraina e la sua difesa si tende a fare sempre un’altra distinzione che evoca spettri del passato, quella tra neoconservatori (i bushiani che hanno invaso l’Iraq) e tutti gli altri. Anche lo stesso Rubio, che ha cercato di disinnescare l’operazione ordita dal vicepresidente J. D. Vance e dall’inviato Steve Witkoff, viene definito neocon, con tono dispregiativo, quando difende soltanto un principio di buon senso: per fermare la guerra bisogna fare pressione su chi la guerra la fa, non su chi la subisce. Tra l’altro questa è la visione prevalente tra gli elettori del Partito repubblicano: si pubblicano e si commentano decine di rilevazioni sulla popolarità di questo o quell’altro politico, sugli andamenti del consenso e così via, ma i sondaggi su come gli americani – quelli che hanno votato Trump – considerano l’Ucraina curiosamente si vedono poco. E sì che sono chiari e solidi: il sostegno alla difesa degli ucraini è sempre stato maggioritario. E’ calato un po’ rispetto all’inizio dell’invasione su larga scala, ma resta maggioritario.

 

Gli elettori repubblicani erano a favore dell’invio dei Tomahawk a settembre, quando si discuteva della possibile consegna da parte dell’America: un sondaggio di HarrisX e Harvard, a metà ottobre, rilevava addirittura un maggior sostegno tra i repubblicani che tra i democratici sul fornire armi all’Ucraina e sul sanzionare la Russia, mentre c’era un consenso bipartisan a fare pressioni su Putin per fermare gli attacchi contro i civili ucraini. Uno studio della Vandenberg Coalition condotto nella seconda metà di ottobre, dice che il consenso attorno al 75 per cento sull’introduzione di nuove sanzioni americane contro la Russia è il dato che è rimasto più stabile in questo anno tanto caotico. Il 72 per cento degli elettori di Trump crede che gli Stati Uniti dovrebbero aiutare l’Ucraina e chiedere conto a Putin dei suoi crimini e della sua aggressione: a essere a favore delle concessioni territoriali ucraine è soltanto il 16 per cento. Il problema è che questa minoranza è ben rappresentata nell’Amministrazione Trump e influenza il presidente più volubile della storia americana.

 

Anche al Congresso è in corso una rivolta. Proprio Rubio, che nella frattura del Partito repubblicano è spesso rimasto schiacciato, ha confessato – e poi abilmente ritrattato – ad alcuni senatori repubblicani che il piano imposto agli ucraini (quello in 28 punti) era stato concepito dai russi. Don Bacon, deputato del Nebraska, ha pensato di dimettersi per via della gestione del suo governo della questione ucraina, mentre l’ex speaker del Senato, Mitch McConnell, ha ripreso i sondaggi e ha scritto su X: “Il prezzo della pace è importante. Un accordo che premia l’aggressività non vale la carta su cui è scritto. L’America non è un arbitro neutrale e non dovremmo comportarci come se lo fossimo”.

 

Nel 2026, tra pochissimo, iniziano le celebrazioni per il 250esimo anniversario della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti. Sentiremo molte discussioni e ricordi su cos’è l’America e su cosa rappresenta per il resto del mondo: costringere un alleato alla capitolazione non s’è comunque mai visto.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi