Perché difendiamo Kyiv
Trump svilisce ogni lotta democratica, ma l’Ucraina libera è la garanzia di sicurezza per tutti
Il catastrofismo attorno al piano americano per l’Ucraina e alla leadership di Volodymyr Zelensky, scossa da uno scandalo di corruzione che non coinvolge lui direttamente ma i suoi collaboratori sì, ha scandito la copertura mediatica di quest’ultima settimana di guerra (oggi sono 1.368 giorni di aggressione russa all’Ucraina). Zelensky è all’angolo, Zelensky è furioso, Zelensky è un’anatra zoppa, Zelensky attraversa una crisi fatale, Zelensky deve dare un segnale: questo è il tenore delle analisi pubblicate sui media occidentali. Vladimir Putin se n’è subito approfittato, sprezzante: gli ucraini pensano ai loro water d’oro e non al popolo, ha detto dal pulpito del presidente di una Russia che non disdegna il lusso pacchiano e che ha fatto ammazzare in un gulag siberiano l’oppositore che ha denunciato la corruzione del regime.
Gli americani, in questo senso, sono stati più coerenti: Donald Trump ha accettato un Boeing 747 da un paese straniero in cerca di favori, ha preso un lingotto d’oro del valore di 130 mila dollari da un altro paese e ha i parenti che fanno affari in criptovalute con governi stranieri: diciamo che non è la corruzione ucraina il motivo per cui i trumpiani si accaniscono su Zelensky, semmai vogliono rientrare dell’investimento di una guerra che considerano evitabile (nel piano in 28 punti questo aspetto è piuttosto chiaro).
Gli europei invece sono andati nel panico, pressati come sono dai partiti sovranisti antiucraini – che sono quelli che si finanziano nei modi più creativi, nel migliore dei casi, e più illegali in tutti gli altri – che si sono avventati sullo scandalo di corruzione per dire: ecco, ci fate buttare via i nostri soldi.
L’Economist, che non è mai tenero con il sistema di potere del presidente ucraino, anzi, in un editoriale rimette in ordine le cose: “L’Ucraina non è, e non è mai stata, un modello limpido di governance. Non è per questo che l’occidente ha speso circa 400 miliardi di dollari – e il numero continua a crescere – per contribuire a difenderla. Se il sostegno occidentale dovesse vacillare, l’unico vincitore sarebbe Putin”. Non difendiamo gli ucraini perché sono integerrimi o resistenti come l’acciaio, li difendiamo perché sono stati ingiustamente aggrediti, perché sono un paese indipendente, sovrano e libero che proprio per questa sua ambizione democratica è stato vessato da un vicino vorace e sanguinario. Ieri, mentre contavano i morti quotidiani causati dai russi e partecipavano ai funerali dei morti dei giorni precedenti, gli ucraini celebravano il giorno della dignità e della libertà, in ricordo della rivoluzione del 2004 e di quella del 2013, quando migliaia di persone scesero nelle piazze per difendere il loro diritto di decidere autonomamente del loro futuro – un futuro europeo e libero (non perdere “la dignità” è anche l’espressione usata da Zelensky nel suo discorso di ieri, fierissimo, che è stato paragonato al “se necessario per anni, se necessario da soli” che disse Churchill per definire la battaglia contro i nazisti).
In questi dieci mesi alla Casa Bianca, Trump è riuscito a svuotare la difesa dell’Ucraina del suo valore globale, ne ha fatto una questione geografica (se ne occupano gli europei che sono lì vicini), economica (non dando più le armi gratuitamente ma facendole pagare agli europei) e ideologico-personale (mettere fine alla guerra con qualsiasi pace trovabile, anche una miserabile, basta che passi alla storia come la pace di Trump). Ma la difesa dell’Ucraina è tutt’altra cosa: è la difesa dell’integrità territoriale di un paese indipendente, è la difesa di un popolo europeo che vuole vivere con le regole e i diritti dell’occidente, è la difesa di un paese che sta facendo scudo contro la Russia per mettere in sicurezza tutti noi perché Putin è insaziabile. Non è un atto di generosità, la difesa dell’Ucraina, è la salvaguardia di un interesse europeo e americano, e costa molto meno di una capitolazione.