FOTO Ansa
la scelta del governo
Problema: l'Italia può diventare nella difesa di Kyiv la pecora nera tra i grandi d'Europa?
Mentre i paesi europei firmano accordi importanti per la difesa dell'Ucraina, al momento l'Italia è al ventesimo posto, tra i 27 paesi europei, per supporto diretto a Kiv. Il treno preso da Meloni è quello giusto, manca ancora di velocità
Tre anni dopo quella foto, l’immagine del treno, può aiutarci a restituire una fotografia genuina di quello che sta succedendo all’Italia nel sostegno alla causa dell’Ucraina. La direzione del treno è sempre quella giusta, nonostante alcuni boicottatori interni che sul sostegno a Kyiv cercano di mettere in atto sabotaggi politici non meno pericolosi di quelli messi in atto due sere fa sulla linea ferroviaria tra Varsavia e Lublino, ma nel corso del tempo l’Italia è passata dall’essere fieramente locomotiva, cosa che è accaduta anche nel primo anno di governo Meloni, a rimorchio. Il treno va. Va nella giusta direzione. Nella giusta direzione va anche l’Italia. Ma la velocità scelta dall’Italia per portare il suo sostegno all’Ucraina è, deliberatamente, un passo indietro rispetto a qualunque altro grande paese europeo impegnato nella difesa di una democrazia aggredita. Ieri, lo sapete, l’Ucraina ha sottoscritto una lettera di intenti decennale con la Francia per acquistare materiale dall’industria della difesa francese, tra cui fino a 100 aerei Rafale F4 per l’aviazione da combattimento entro il 2030, radar per sistemi di difesa aerea, missili aria-aria e bombe aeree e anche il mitico sistema di difesa aerea Samp/T, prodotto dalla joint venture fra Thales e le divisioni francese e italiana di Mbda.
Giorni fa, Zelensky ha firmato con il governo svedese un accordo per acquistare fino a 150 aerei da caccia Gripen. Il 2 novembre, Zelensky ha ringraziato la Germania di Friedrich Merz per aver acquistato dagli Stati Uniti i missili Patriot che l’America di Trump si rifiuta oggi di dare direttamente all’Ucraina e il ministro della Difesa tedesco ha annunciato pochi giorni fa che la Germania fornirà all’Ucraina anche due ulteriori sistemi di difesa aerea Iris-T, fra cui un gran numero di missili guidati e missili da difesa aerea a spalla. Oggi Zelensky firmerà accordi importanti e onerosi anche con la Spagna del traballante Pedro Sánchez. Il governo italiano, martedì 2 dicembre, presenterà al Copasir il decreto interministeriale relativo al dodicesimo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, e la sua parte la farà. Ma in questo gioco di equilibri e di mediazioni accanto a ciò che l’Italia sta facendo per l’Ucraina inizia a spiccare anche ciò che l’Italia potrebbe fare per l’Ucraina e ancora non fa. Matteo Salvini, con una certa coerenza, pochi giorni fa ha rimesso in discussione la linea sugli aiuti, sostenendo che ulteriore sostegno rischia solo di “alimentare la corruzione” in Ucraina e chiedendosi se abbia ancora senso spendere soldi italiani in armi. I dubbi di Salvini sono alla luce del sole. I dubbi del governo, in generale, lo sono pure. L’Italia, per il momento, ha scelto di non aderire al nuovo schema Nato per acquistare armi statunitensi destinate a Kyiv (l’accordo si chiama Purl: Prioritized Ukraine Requirements List). L’Italia, per il momento, ha scelto di far sapere che le armi che invia all’Ucraina non devono essere utilizzate per colpire in territorio russo (cosa che invece accade, senza che vi siano sanzioni all’Ucraina).
L’Italia, per il momento, ha scelto di far sapere di essere contraria a inviare militari in Ucraina per difendere Kyiv quando il percorso di pace lo prevederà (ma i militari italiani impiegati sul fronte est dell’Europa, se per l’Ucraina dovesse essere costruita una protezione modello articolo 5 della Nato, non potranno non essere mobilitati per proteggere l’Ucraina in caso di attacco futuro). L’Italia, come detto, sostiene finanziariamente l’Ucraina, ma secondo i dati raccolti dal Kiel Institute l’Italia si colloca intorno al ventesimo posto tra i 27 paesi europei per supporto diretto a Kyiv: dal 2022, è stato impegnato appena lo 0,14 per cento del pil in aiuti bilaterali (anche se la cifra reale impiegata, fanno sapere fonti della Difesa, è circa il doppio, essendo parte dei finanziamenti segretati). L’Italia, al momento, al contrario di Danimarca, Olanda, Belgio, Norvegia, Romania, Regno Unito, Canada, Svezia, ha scelto di restar fuori dalla coalizione F-16 di paesi che donano aerei o addestrano piloti ucraini. Infine, mentre buona parte dell’Unione europea appoggia la proposta di usare i beni russi congelati in Europa per aiutare l’Ucraina, sostenendo un prestito da circa 140 miliardi di euro “collateralizzato” da quegli asset, l’Italia è, insieme con Slovacchia e Ungheria, oltre al Belgio, uno dei pochissimi paesi europei a essere scettici e resistenti su quella misura. L’Italia va nella giusta direzione, sull’Ucraina. Le parole usate dalla premier per giustificare la difesa dell’Ucraina sono le parole giuste, e sono anche particolarmente coraggiose perché su questo tema Giorgia Meloni ha scelto di sfidare da anni anche una parte del suo elettorato. E lo schema scelto dal governo italiano, sulla difesa di Kyiv, è uno schema che si giustifica con la necessità o la volontà di giocare un ruolo da ponte, un po’ con l’Europa e un po’ con l’America, un po’ con gli europeisti e un po’ con gli euroscettici: faccio, ma non faccio troppo, e se c’è qualcosa in meno che posso fare rispetto agli altri, sfrutto l’opportunità, fino a che mi è possibile.
Ma lo schema adottato dal governo è uno schema di sostegno molto forte a parole e molto meno nei fatti, ed è uno schema all’interno del quale l’Italia meloniana, pur andando nella giusta direzione, rischia di trasformare la linea coraggiosa del ministro Guido Crosetto in una testimonianza personale, spinta dalla necessità di assecondare un trend europeo e non di combattere per invertire l’incubo (che per fortuna ancora non c’è) del disimpegno progressivo. Se è vero che il futuro dell’Europa passa dalla difesa dell’Ucraina, l’Italia meloniana dovrebbe chiedersi se il governo sta facendo tutto il necessario per difendere i confini dell’Europa del futuro e della democrazia del presente. La linea del disimpegno di Matteo Salvini, linea non troppo diversa da quella di una parte forse maggioritaria dell’opposizione, in fondo è una parte del problema. La questione di fondo è se il whatever it takes che servirebbe per difendere l’Ucraina dalla minaccia russa, whatever it takes che è stato consegnato ieri dal capo dello stato ai membri del Consiglio supremo di difesa, è ancora un’opzione per il governo italiano. Il treno va, ma la locomotiva è lontana e la grande sfida dei prossimi mesi di Meloni in fondo sarà questa: non scegliere da che parte stare, sulla difesa di Kyiv, ma scegliere se diventare, nella difesa dell’Ucraina, la pecora nera tra i grandi d’Europa.