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Le ambizioni di JB Pritzker, il governatore che sfida Trump e pure i dem troppo timidi

Giulio Silvano

Miliardario e popolare, rassicurante e radicale, il governatore dell'Illinois ha fatto sentire la sua voce contro i raid anti-immigrazione del presidente americano e contro l’invio della Guardia nazionale nel suo stato. E ai suoi colleghi di partito ha detto: "Questo è il momento di alzare la voce"

Alle proteste “No Kings” che hanno invaso le città statunitensi c’era la celebrazione dei padri costituenti, c’erano persone con costumi gonfiabili di rane, c’erano i cori contro le passioni autocratiche trumpiane, c’erano tante bandiere americane e qualche cartello che diceva “parlateci di Epstein”. Ma c’era anche una grossa domanda senza risposta che aleggiava in questo mare di sette milioni di progressisti, moderati, anti-fa, liberal e federalisti: chi sta guidando il Partito democratico? Se Joe Biden ha appena finito un ciclo di radioterapia, se Kamala Harris (ve la ricordate?) al massimo riappare per presentare il suo libro, se i senatori sono impegnati con lo shutdown, se la decana Nancy Pelosi annuncia che andrà in pensione, chi sta guidando la grande macchina della coalizione dem? La vittoria del millennial pro Pal socialista musulmano Zohran Mamdani a New York ha portato alcuni a urlare che quella è la strada giusta per il partito, altri a mettere il piede sul freno. La riscoperta della lotta di classe a Brooklyn non può essere il modello nazionale, dicono in tanti, cercando di placare Sanders e Ocasio-Cortez. Anche perché, in parallelo alla vittoria del 34enne a New York, c’è stata quella di due moderate della coalizione, le governatrici del New Jersey e della Virginia, con programmi meno marxisti. Dove guardare, quindi?

 

Per il futuro prossimo c’è chi tiene gli occhi puntati sul troll kennediano Gavin Newsom, elegante governatore della California che si diverte a postare meme e video contro il Magaworld, ripagandoli con loro stessa moneta. E c’è chi invece inizia a rendersi conto che, forse, alcuni dei politici in giro da un po’ potrebbero aiutare l’opposizione. E che, più che su Instagram, si può cercare tra gli amministratori locali che conoscono la macchina e il popolo, tra chi ha fatto invece che tra chi, per ora, ha solo promesso. Una solida alternativa, secondo alcuni che stanno ai piani alti dei democratici, è JB Pritzker. Il governatore dell’Illinois ha fatto sentire la sua voce contro i raid anti-immigrazione di Trump e contro l’invio della Guardia nazionale nel suo stato. Trump ha subito preso in giro JB per il suo peso dicendo: “Dovrebbe andare in palestra!”. E quando Trump insulta vuol dire che si sente minacciato.

 

 

Il corpulento sessantenne JB Pritzker, con il suo faccione sorridente e i completi che fanno un po’ vecchia Wall Street e un po’ americano in crociera, è governatore dal 2019, riconfermato poi nel 2023, con campagne che ha pagato quasi completamente di tasca sua. Perché JB Pritzker è ricchissimo. La sua famiglia appare nelle liste dei miliardari di Forbes da quando esiste la lista dei miliardari di Forbes. Sono proprietari da generazioni della catena di hotel Hyatt, quasi 1500 tra alberghi e resort in una settantina di paesi. Tutto è iniziato con un hotel all’aeroporto di Los Angeles nel 1957 e ora è un impero, che si estende con proprietà che vanno da Puerto Vallarta a Calcutta, da Amman a Zanzibar, fino alle periferie congressuali del midwest. Forse l’Hyatt più famoso è quello di Tokyo in cui Sofia Coppola diresse un Bill Murray in jet lag al bar in “Lost in translation”. E nonostante l’infanzia finanziariamente dorata, JB – che prende il nome dai due zii Jay e Bob – ha avuto le sue pene. Ha visto il padre morire d’infarto quando aveva solo sette anni, ed è stato poi affidato dalla madre malata e alcolista alla zia. La madre morirà poi dieci anni dopo in un incidente stradale.

 

JB ha ricordato in alcune occasioni quando da ragazzino stava sveglio di notte perché aveva paura che sua madre si addormentasse fumando a letto – in un’occasione ha addirittura dovuto chiamare i pompieri. Il bisnonno di JB era scappato dai pogrom anti-ebraici dell’Ucraina nel 1881 per finire a dormire qualche notte nella stazione dei treni di Chicago, dopo aver passato alcuni giorni in Iowa. In un podcast JB ha raccontato: “Quando il mio bisnonno è arrivato nella cittadina di Clinton, in Iowa, ha visto che non c’erano lavori per lui e così ha chiesto con un inglese stentato: indicatemi la città più grande più vicina. E così è finito a Chicago”. E aveva solo nove anni. Inizialmente è sopravvissuto vendendo giornali all’angolo della strada, poi è riuscito a far studiare il figlio facendolo diventare avvocato di successo. Anche il padre e anche JB hanno seguito questa strada, diventando avvocati, gestendo parallelamente il conglomerato alberghiero con i vari cugini e nipoti. Ma JB ha iniziato a impegnarsi nella politica cittadina, per candidarsi poi a governatore, mosso dall’interesse per la cosa pubblica che condivide con la sorella maggiore, Penny, che è stata segretaria del Commercio nella seconda amministrazione Obama (altro illustre membro dell’intellighenzia dem di Chicago).

 

Penny Pritzker, con Joe Biden, è stata poi nominata Rappresentante speciale per il ripristino economico dell’Ucraina, dopo l’invasione putiniana – carica nata e morta con il suo breve mandato. Penny e Obama si erano conosciuti negli anni 90 in palestra, alla YMCA, dove il cognato del futuro presidente allenava la squadra di basket del figlio della futura segretaria del Commercio. Da lì gli Obama hanno iniziato a frequentare la casa sul lago dei Pritzker e i Pritzker hanno contribuito con vari milioni alla sua prima campagna, ma anche a quella di Hillary Clinton. Joe Biden una volta ha ammesso che JB “è stata la persona che più di tutti mi ha aiutato ad essere eletto presidente degli Stati Uniti”, e parlava di soldi. A lungo JB è stato solo un donatore, prima di scendere in campo di persona. Ci aveva già provato nel 1998, dopo una campagna elettorale fallita per il Congresso, ed era tornato agli hotel di famiglia per poi tentare, questa volta con successo, con il governatorato, spendendo almeno 70 milioni di tasca sua (all’epoca la corsa elettorale locale più costosa della storia). JB, con i suoi miliardi ereditati e raddoppiati dalla sua gestione della catena, non bada a spese.

 

 

Affitta un jet privato anche per voli lavorativi, paga molto bene il suo staff e ovviamente non riceve alcun compenso per il suo ruolo pubblico. Quando venne eletto fu riconosciuto come il più ricco politico americano. Ma JB spende soldi anche per sé, soprattutto al casinò. E’ quello che a Las Vegas chiamano “una balena”, cioè, un giocatore con un bel portafoglio che fa puntate singole da decine di migliaia di dollari, paragone col mammifero marino che fa ridacchiare qualcuno. L’anno scorso ha vinto un milione e 400 mila dollari giocando a blackjack, cifra che ha dovuto mettere nella dichiarazione dei redditi. A chi l’ha criticato ha risposto: “Sono stato molto fortunato”, spiegando che è stata la vittoria di un’unica gita con la moglie a Las Vegas. Visto il suo amore per le carte, il governatore ha anche finanziato un torneo di poker di beneficenza per raccogliere soldi per il museo dell’Olocausto dell’Illinois. 

 

Il suo slogan era semplice e simpatico: “Think Big” (“pensa in grande”), una strizzata d’occhio alla sua mole, oltre che alle sue idee progressiste. Da quando è al potere Pritzker ha portato avanti un’agenda per il suo stato più a sinistra di quella dei presidenti che ha contribuito a eleggere. Ha aumentato i fondi per le borse di studio per i college pubblici, ha tolto i fondi alle biblioteche che vietano i libri per motivi politici, ha alzato il salario minimo a 15 dollari all’ora (negli stati confinanti è fermo a 7,25), ha reso illegali le armi d’assalto e le cauzioni in denaro, ha reso legale la marijuana e graziato vari consumatori imprigionati, ha spinto per aumentare le licenze per i casinò dicendo: “Venite a giocare in Illinois”. Si è impegnato sui temi cari ad alcune aree dem-progressiste, come i diritti riproduttivi e l’ecologia, ma non ha mai alzato i toni. Poi ha iniziato a scaldarsi e a schierarsi apertamente contro Trump, soprattutto quando Trump ha iniziato a superare le linee di confine che sono alla base della democrazia statunitense, e a mandare soldati nel suo Illinois.

 

Quando il presidente ha iniziato a mandare i militari nel suo stato per sedare le proteste contro la caccia all’immigrato voluta dalla Casa Bianca, bypassando così i poteri dei governatori, JB si è arrabbiato e ha parlato di “invasione incostituzionale dell’Illinois”. Ha detto che Trump è un tiranno. E Trump ha risposto con la solita frase che ormai usa ogni volta che qualcuno lo infastidisce: “Dovrebbero mandare Pritzker in galera”. JB ha risposto: “Vieni a prendermi”, aggiungendo, “adesso Trump addirittura chiede l’arresto di politici eletti che mettono in dubbio i suoi poteri. Cosa manca per arrivare verso il vero autoritarismo?”. Poi ha invitato i cittadini del suo stato a tirare fuori gli iPhone e fare video agli sbirri federali mandati dalla Casa Bianca per avere prove delle loro malefatte, assicurando che la polizia statale proteggerà i suoi cittadini dai soprusi dell’Ice, gli agenti anti-immigrazione. La contrapposizione tra militari e polizia locale creata da JB, dicono alcuni, ha logiche che richiamano un clima da pre-guerra civile. Ma Pritzker non ha vere armi per bloccare le pratiche trumpiane. Come ha fatto notare il New York Times: “Sono scambi retorici un tempo impensabili contro il governo da parte di un funzionario pubblico”, aggiungendo che però c’è poco per cui il governatore possa fare, se non attirare attenzione. E l’attenzione è un’ottima arma elettorale, se usata bene.

 

JB però non si è limitato a battibeccare con il presidente – ha detto anche che ha la demenza senile – se l’è presa anche con i suoi colleghi di partito. “Questo è il momento di alzare la voce”, ha detto a un evento in Minnesota. “Vedo qualcuno che lo fa? No. I democratici non dovrebbero avere paura, e sapete perché? Perché noi siamo tra i bersagli. Dobbiamo essere forti e lottare”. 

 

 

Il motivo per cui la stampa e certi gruppi dem stanno puntando gli occhi su JB Pritzker è perché sembra avere un altro spirito rispetto alla generale mosciaggine di una leadership che ancora si sta leccando le ferite dopo l’inaspettata sconfitta elettorale dello scorso novembre. E non è un caso che i sopracitati Mamdani, Newsom e lo stesso Pritzker, che bucano social e vengono esaltati, a volte, dal New York Times, siano quelli con meno peli sulla lingua, meno spaventati dal dire cose anche sopra le righe, o a usare mezzi – come le ospitate nei podcast o i meme di Newsom che hanno fatto infuriare Trump – che fino ad ora solo la destra ha saputo usare con efficacia. Le cose che dice Mamdani su Israele, dette due anni fa, lo avrebbero fatto espellere dal partito. Ma oggi c’è spazio anche per diversi gradi di estremismo. Pritzker lo sta facendo non solo dicendo che Trump è “demente”, ma ponendosi come una figura di ostacolo attivo al controllo territoriale del presidente in chiave anti-immigrazione e anti-proteste. Sono vari i titoli di giornale che mettono insieme le parole “Illinois” e “resistenza”. E il governatore ha iniziato a inondare di mail i suoi supporter con frasi slogan come “Io non mi arrenderò”, rispondendo alla retorica guerresca della Casa Bianca con altrettanta retorica guerresca, dipingendosi come l’ultimo samurai. “Insieme ad altri governatori”, dice una mail, “stiamo guidando la carica contro questa amministrazione, ma dobbiamo capire a breve se i democratici sono con noi!”. 

 

Ma ovviamente c’è chi dice che l’obiettivo di Pritzker sia la Casa Bianca nel 2028, e che questo fervore nasca per riempire quel vuoto di leadership che manca tra i dem, e per attirare l’attenzione. Il totonomi ha già bruciato varie persone, e per questo ora sono tutti più cauti. Dopotutto JB aveva flirtato con l’idea di una corsa verso Pennsylvania Avenue già la volta scorsa, ma poi si era limitato a ospitare la grande convention democratica nel suo feudo di Chicago, accogliendo con tutti gli onori il suo amico Joe. Quando Biden si era ritirato, alcuni avevano fatto il suo nome come possibile rimpiazzo, un “candidato Sos”, diceva il New York Times (poi era stata scelta Kamala, per evitare primarie). Intanto a giugno JB ha detto che correrà una terza volta per mantenere il suo posto di governatore dell’Illinois (si vota nel 2026, con le midterm che rinnovano il Congresso, le prime grandi elezioni dopo la batosta dem del 2024 e questa piccola ripresa di speranza newyorkese). In un’intervista al New Yorker è stato fatto notare a JB che forse è troppo di sinistra – ad esempio sull’aborto, cosa che infastidisce i moderati – per candidarsi nel ticket presidenziale. Lui ha risposto che le etichette oggi non importano più a nessuno, soprattutto per chi non si identifica con nessun partito, che ai giovani interessano i temi caldi, come il global warming, più di tutto il resto che interessa solo al palazzo, aggiungendo che agli elettori oggi “non importa se sei progressista, moderato o conservatore. Alla gente oggi importa se a te importa occuparti dei loro bisogni”. Una frase che sembra una precoce e timida dichiarazione di candidatura alla presidenza.

 

E come twittava un suo fan, commentando una sua foto al gay pride: “E’ fisicamente enorme, non sembra un intellettuale, e ha un buon istinto”. Nonostante sia cresciuto con il cucchiaio d’oro in bocca, come si dice lì, sembra piacere al popolo. E poi c’è un altro segnale fondamentale: JB sta dimagrendo. “Sembra si stia preparando per un combattimento”, ha commentato un ex advisor per l’immagine televisiva di George W. Bush e John McCain. Lo stesso Trump, bevitore da record di Coca Cola e fan di McDonald’s, ma così attento ai fisici altrui, se n’è subito accorto e ha detto: “Ho sentito che vuole diventare presidente, e ho notato che ha perso un po’ di peso, quindi magari avrà una chance”.

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