FOTO Ansa
il quadro
Gli aiuti di Washington a Kyiv e l'ingranaggio poco oliato del sistema Purl
L'amministrazione americana sostiene che dovrebbero essere gli europei a sostenere gli sforzi economici della difesa dell'Ucraina, e non gli Stati Uniti: con la nuova iniziativa i paesi Nato comprano armi da Trump per poi inviarle sul fronte
Milano. Durante una riunione svoltasi a settembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che il paese “non stava più finanziando la guerra in Ucraina, e l’unico coinvolgimento è quello per porre fine alla guerra”. E’ vero che, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca, non sono più stati votati alle Camere nuovi pacchetti di aiuti – civili e militari – per Kyiv, ma questo non vuol dire che il contributo diretto statunitense sia già terminato. Da quando la Russia ha iniziato l’invasione contro l’Ucraina nel 2022, Washington ha votato cinque diverse risoluzioni per stanziare denaro per Kyiv, per un totale di circa 175 miliardi di dollari, a cui si aggiunge un prestito di ulteriori 20 miliardi poco prima della fine della presidenza Biden. Di questi soldi, circa 128 miliardi sono stati stanziati in aiuto diretto al governo di Zelensky, 54 come supporto al budget e 71 in armi. Prima di lasciare la presidenza, Joe Biden ha deciso come destinare tutti i soldi che il Congresso ha stanziato, lasciando a Trump la sola possibilità di congelare progetti già in corso d’opera. Per quanto concerne le armi, gli Stati Uniti hanno finanziato Kyiv in due diversi modi.
Nei momenti di grande richiesta, soprattutto allo scoppio della guerra, attraverso la Presidential Drawdown Authority (Pda), che permette di inviare armi già presenti nell’arsenale statunitense: un metodo veloce, che permette di effettuare le consegne in un periodo di circa sei mesi dall’annuncio. La metà degli stanziamenti in armi, però, è avvenuto non tramite la consegna di materiale esistente, ma con la fabbricazione di nuove armi per Kyiv attraverso contratti con aziende statunitensi. Questo sistema, che tra l’altro fa sì che parte dei soldi impiegati per il sostegno all’Ucraina vengano reinvestiti nel paese, è molto più lento: secondo dati del Center for Strategic and International Studies, dal momento dell’annuncio ci vogliono circa quattro mesi per redigere il contratto di produzione, due anni per il primo invio di materiale e 18 mesi ulteriori per onorare tutto il contratto. Di questo passo, i fondi allocati dall’Amministrazione Biden garantirebbero un flusso di armamenti, seppur quantitativamente minore rispetto agli anni precedenti, fino al 2027.
Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Trump ha congelato i fondi per l’Ucraina due volte: la prima a marzo, al termine del colloquio disastroso con Zelensky, e la seconda a luglio, quando il Pentagono ha bloccato l’invio di Patriot e altri elementi utili alla difesa aerea per ricollocarli nel Pacifico. Entrambe le volte, il congelamento è durato non più di una settimana. A oggi, i dati disponibili non evidenziano pause nelle consegne dei materiali già approvati, e quindi sotto la presidenza Trump si stanno continuando a onorare i contratti in essere. Stabilire il flusso mensile degli aiuti, militari e non, invece, è molto più complicato: come ha detto al Foglio Taro Nishikawa, project lead dello Ukraine Support Traker del Kiel Institute, “stabilire il livello delle consegne utilizzando informazioni pubbliche è molto complesso, dato che i dettagli sono solitamente secretati per motivi di sicurezza nazionale”.
A seguito della decisione di non istituire nuovi pacchetti di aiuti diretti all’Ucraina, l’Amministrazione Trump ha dato vita all’iniziativa Purl, tramite la quale le armi statunitensi non vengono più date direttamente a Kyiv, ma comprate dai paesi della Nato per inviarle sul fronte. Secondo questo schema, gli alleati comprerebbero armi già presenti nell’arsenale statunitense che poi Washington andrebbe a sostituire fabbricandone di nuove con i soldi ottenuti dalle vendite. Una soluzione che rientra nell’idea della nuova Amministrazione che dovrebbero essere i paesi europei a sostenere lo sforzo economico della difesa dell’Ucraina, e non gli Stati Uniti. Il piano, finora, ha faticato a ingranare: secondo il Kiel Institute, durante l’estate l’allocazione di nuovi aiuti militari per l’Ucraina è scesa drasticamente rispetto all’anno precedente, nonostante l’annuncio di Purl: la caduta mensile evidenziata dal centro di ricerca è del 43 per cento sul 2024. Questo anche perché non tutti i paesi della Nato hanno aderito con convinzione all’iniziativa: l’Italia, per esempio, non ha ancora comprato nulla attraverso questo schema.
Se i dati di una discesa drastica nei nuovi stanziamenti dovessero venire confermati anche nei mesi successivi all’estate, la difesa ucraina continuerà a basarsi sui contratti che ha garantito la presidenza Biden e che Trump, nonostante i proclami, non ha mai congelato.