Foto Epa, via Ansa
Buttiamo giù tutto
Rod Dreher, amico di Vance e di Orbán, denuncia la deriva razzista e antisemita del Gop
"Sono più convinto che mai che stiamo andando verso un qualche tipo di totalitarismo, o nella migliore delle ipotesi verso l’autoritarismo", dice lo scrittore che lavora per il primo ministro unghesere. Il pericolo di una deriva verso l’estrema destra che riguarda soprattutto i giovani
C’è qualcosa di nuovo che sta accadendo a Washington da qualche mese, più o meno dall’omicidio a settembre di Charlie Kirk, un evento che ha scatenato reazioni complicate da decifrare. Tira una brutta aria in casa dei repubblicani, sconvolti dalla morte di Kirk e poi incattiviti dall’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York: qualcuno le ha prese come scuse per spingersi molto più a destra di dove gran parte del movimento Maga si senta a proprio agio. C’è aria di razzismo, nazionalismo bianco e tanto antisemitismo e colpisce che ad annusare il vento e denunciarlo sia adesso Rod Dreher, uno scrittore molto amato a destra, che ha lasciato l’America per vivere in Ungheria e lavora per il primo ministro Viktor Orbán.
L’autore del bestseller “L’opzione Benedetto” è una delle persone più vicine al vicepresidente J. D. Vance, di cui è stato padrino di battesimo dopo aver avuto un ruolo centrale nella sua conversione al cattolicesimo. Le sue parole hanno un peso e di sicuro non ne ha risparmiate in questi giorni, dopo aver accompagnato Orbán in visita alla Casa Bianca e aver trascorso un po’ di giorni a Washington, a casa di Vance e a parlare con i conservatori dei think tank e del Congresso. Sul volo di ritorno verso Budapest, Dreher ha scritto un lunghissimo post su Substack e un articolo su Free Press di Bari Weiss che stanno creando un ampio dibattito. “Dopo questi giorni – è la sintesi – Sono più convinto che mai che stiamo andando verso un qualche tipo di totalitarismo, o nella migliore delle ipotesi verso l’autoritarismo”. Può sorprendere che un’analisi del genere arrivi da qualcuno che lavora al fianco di Orbán, ma Dreher confessa di essere seriamente preoccupato dall’ascesa di consensi che sembra incontrare il movimento dei Groypers, i seguaci dell’estremista di destra Nick Fuentes: secondo lo scrittore ammonterebbero al 30-40 per cento dei giovani della generazione Z che lavorano negli ambienti della maggioranza repubblicana a Washington.
Conviene riavvolgere il nastro degli ultimi mesi e tornare al delitto Kirk, per avere qualche elemento di riferimento per le parole di Dreher. L’assassinio di quello che era considerato il profeta Maga capace di parlare ai giovani ha scatenato una corsa a posizionarsi come suoi eredi. Il più autorevole tra coloro che si propongono come interlocutori del “popolo di Kirk” è senz’altro Vance. Poi ci sono una serie di podcaster che ruotavano intorno a Kirk: Ben Shapiro, Candace Owens, Matt Walsh, Jack Posobiec. Uno spazio lo cercano anche i tecnocrati-filosofi della Silicon Valley, Peter Thiel in testa, che vogliono a loro volta influenzare il dibattito su dove deve andare il movimento Maga. Ma nelle ultime settimane sono successe un paio di cose che hanno creato un corto circuito che ha fatto venire alla luce il sottobosco denunciato da Dreher. La prima è la vittoria di Mamdani a New York e in generale l’affermazione dei democratici nel martedì elettorale, che ha fatto scattare l’allarme tra i repubblicani in vista delle elezioni di midterm. La seconda è un’intervista che Tucker Carlson, tra le voci più ascoltate nel mondo Maga, ha realizzato con Fuentes, un personaggio che a sua volta sogna di fare l’erede di Kirk e finora era stato tenuto fuori dal perimetro dell’accettabilità anche dai più accesi seguaci di Trump. E’ stato come un “rompete le righe” che ha ridato la parola a neonazi, antisemiti e razzisti bianchi. Ne è nato un dibattito furibondo che ha coinvolto (e rischia di travolgere) anche Kevin Roberts, potente presidente dell’Heritage Foundation, il pensatoio della destra conservatrice, colpevole di aver difeso Carlson e lo sdoganamento dell’impresentabile Fuentes.
Dreher ha respirato l’aria e lanciato l’allarme per il pericolo di una deriva verso l’estrema destra che riguarda soprattutto i giovani. Il tutto in un momento in cui l’establishment sembra in crisi, con i repubblicani indeboliti dal voto, Trump indebolito dal caso di Jeffrey Epstein e i democratici indeboliti dall’aver perso la battaglia per lo shutdown. Per Dreher è miscela esplosiva che ha per protagonisti i Groypers, come si fanno chiamare i seguaci di Fuentes. “Il clima dominante – ha scritto – sembra essere: ‘Buttiamo giù tutto’. Fuentes è un esempio lampante di quello che intendeva Hannah Arendt quando parlava di persone disposte a crogiolarsi nella trasgressione, fino al punto da abbattere i pilastri della civiltà, solo per il gusto di veder rompere i cancelli da parte di quelli che erano stati tenuti ai margini”.
La grande eccezione tedesca