Congresso straordinario del CHP, il manifesto di Imamoglu e di altri sindaci incarcerati (Serdar Ozsoy/Getty Images) 

Chiesti oltre duemila anni per Imamoglu. La repressione in toga di Erdogan

Enrico Cicchetti

Accusato di tutto, dal riciclaggio allo spionaggio, l'uomo che sfidò Erdogan rischia 2.352 anni di prigione per 142 capi d’accusa. Una condanna simbolica e mostruosa, pensata per cancellare l’alternativa politica prima delle elezioni del 2028

Più di duemila anni di carcere. In Turchia, dove l’aritmetica della repressione in toga è ormai un genere letterario, la procura di Istanbul ha chiesto per Ekrem Imamoglu – ex sindaco della città sul Bosforo, principale oppositore del presidente Recep Tayyip Erdogan, eroe municipale divenuto nemico di stato – una pena eterna e assurda: 2.352 anni, per la precisione.

La procura non ha ancora fissato la data del processo. Ma l’imputazione è degna di un romanzo di Kafka: 142 capi d’accusa, 402 complici, 3.900 pagine di atto d’accusa. Il cinquantaquattrenne Imamoglu è stato arrestato nel marzo scorso, pochi giorni prima che venisse ufficializzata la sua candidatura alla presidenza della Repubblica per il Partito repubblicano del popolo (Chp), la principale formazione di opposizione. È accusato di guidare un’organizzazione criminale, di accettare tangenti, di riciclare denaro, di truccare appalti. Un’altra indagine lo collega a presunte attività di spionaggio, che avrebbe condotto durante la campagna elettorale per ottenere finanziamenti dall’estero. Si va dalle accuse di avere falsificato il diploma universitario, fino alla creazione di una “organizzazione criminale tentacolare”, che avrebbe stretto Istanbul “come una piovra”, come scrive il procuratore Akin Gürlek. Erdogan stesso aveva definito così la sua ex roccaforte perduta. Proprio da Istanbul partì l'ascesa di Erdogan nel 1994: la megalopoli è stata il laboratorio del suo consenso e da lì il presidente temeva che potesse cominciare la propria caduta. Il suo mandato scade nel 2028 e, secondo la Costituzione turca, non può ricandidarsi salvo modifica costituzionale o elezioni anticipate.

Da sindaco, con il Chp, Imamoglu aveva vinto tre volte contro candidati benedetti dal palazzo. Per Erdogan rappresenta una duplice minaccia. Da un lato, l’ascesa di un oppositore con un profilo moderato, capace di parlare al centro dell’elettorato urbano e conservatore. Dall’altro, il rischio che Istanbul resti fuori dal controllo del potere centrale. Dal 2019, la città è una vetrina alternativa: amministrazione efficiente, toni sobri, un’idea di stato diversa da quella costruita in vent’anni di governo dell’Akp, partito del presidente. Özgür Özel, leader del Chp, ha definito il caso “un colpo di stato civile”. In un discorso al parlamento martedì, ha detto che Imamoglu sarà comunque il candidato del partito alle prossime elezioni presidenziali. Il governo nega motivazioni politiche e parla di “lotta alla corruzione”. Ma la sequenza delle iniziative giudiziarie segue fedelmente il calendario elettorale. Ogni volta che Imamoglu si avvicina a un appuntamento politico, arriva un nuovo fascicolo.

Del resto, non è la prima volta che la magistratura turca agisce come protesi del potere politico. Dopo le elezioni amministrative del 2024, che hanno confermato la forza del Chp nelle principali città, decine di sindaci e funzionari locali sono stati arrestati o sospesi. Adesso, duemila anni di carcere sono un modo per dire “mai più”. Imamoglu, dal carcere, scrive “Resto in piedi. Non mi piegherò”.

  

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti