Ansa
In Iraq
Il boom degli investimenti a Baghdad “significa libertà”. E tiene occupati i gruppi armati
Mentre l’Iraq si prepara ad andare alle urne l’11 novembre, il governo punta a mettere in mostra i propri successi. Il tasso di povertà nazionale è sceso al 10,8 per cento e “si è ridotto di oltre il 50 per cento dal 2011”, nonostante la guerra contro l'Isis, dice il ministro della Pianificazione
Gruppi di uomini iracheni in eleganti abiti camminano con disinvoltura tra la sala arrivi e i controlli di sicurezza in partenza dell’aeroporto della capitale, offrendo “servizi Vip” in cambio di denaro contante. L’elettricità nella città – come in molte altre parti del paese – rimane ancora inaffidabile, le interruzioni idriche sono frequenti e gli incendi non rari. Tuttavia, accanto a edifici fatiscenti sorgono sempre più ristoranti esclusivi, gallerie d’arte e quartieri storici ristrutturati. Nuovi hotel di lusso vengono costruiti e i fuoristrada intasano le strade polverose di Baghdad. Mentre l’Iraq si prepara ad andare alle urne l’11 novembre, il governo in carica punta a mettere in mostra i propri successi, e il primo ministro spera in un nuovo mandato.
A luglio, il ministro della Pianificazione iracheno ha dichiarato che il tasso di povertà nazionale è sceso al 10,8 per cento e che “si è ridotto di oltre il 50 per cento dal 2011”, nonostante la guerra contro lo Stato islamico (Isis) tra il 2014 e il 2017. Che Baghdad abbia conosciuto un boom edilizio negli ultimi anni non è certo un segreto. Tuttavia, parte di questo denaro sembra essere arrivato anche alla classe media irachena – un segnale positivo per la stabilità futura. Un giornalista iracheno che lavora principalmente per testate occidentali ha raccontato al Foglio di essere riuscito ad acquistare un fuoristrada e diversi appartamenti con i suoi guadagni, e di sperare di poter presto vivere grazie agli affitti di questi immobili. Accanto a questo enorme flusso di denaro, però, continuano a destare preoccupazione i problemi della corruzione e della presenza di armi nelle mani di attori non statali. Molti vedono in questo una minaccia agli ideali democratici dell’Iraq di oggi, anche a causa dell’influenza esercitata dai gruppi armati.
A metà settembre, nel corso di eventi organizzati a Baghdad per la Giornata internazionale della democrazia – alla quale hanno partecipato centinaia di personalità di spicco irachene, tra cui il primo ministro, il capo dell’intelligence e diplomatici di numerose ambasciate – è stato inaugurato l’Osservatorio per la democrazia in Iraq. Uno degli organizzatori, l’Al Rasheed center for development, ha dichiarato in seguito che l’osservatorio “monitorerà le performance e promuoverà la responsabilità al fine di tutelare l’esperienza democratica dell’Iraq”. Poche settimane dopo, il dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto sanzioni alla Muhandis general company (Mgc) e ad alcuni dirigenti bancari, accusandoli di dirottare fondi statali verso gruppi armati legati all’Iran. Il governo del primo ministro Mohammed Shia al Sudani ha definito la decisione americana “estremamente spiacevole” e ha ordinato la creazione di una commissione incaricata di presentare raccomandazioni entro 30 giorni.
Le elezioni parlamentari sono previste per l’11 novembre, ma nelle strade e nei caffè di Baghdad – durante la visita del Foglio – si sono sentite ben poche conversazioni politiche. I manifesti elettorali e i cartelloni sparsi per la città mostrano i volti di uomini che sono ormai una costante della politica e dei conflitti armati iracheni da vent’anni, fin dalle prime elezioni post 2003: tra loro, il comandante della milizia Qais al Khazali (leader di Asaib Ahl al Haq, gruppo legato all’Iran e sanzionato dagli Stati Uniti), e Nouri al Maliki, l’ultimo primo ministro iracheno ad aver ottenuto un secondo mandato – risultato che Sudani spera di replicare. Sebbene le divisioni di classe restino marcate, anche molti abitanti di Baghdad della classe operaia sembrano oggi più soddisfatti rispetto a qualche anno fa, quando le proteste portarono alla caduta del governo nel 2019. Tuttavia, pochi mostrano l’intenzione di votare o di seguire da vicino le elezioni, e anche questa volta si prevede un’affluenza alle urne piuttosto bassa.
Lo sviluppo relativamente rapido del paese è avvenuto sotto la guida del primo ministro Sudani, entrato in carica nell’ottobre 2022 dopo oltre un anno di contrasti tra partiti e una violenta battaglia nella Green Zone, costata la vita a decine di persone dopo le elezioni dell’ottobre 2021. Un tassista ha raccontato al Foglio, mentre era bloccato nel traffico di Baghdad a settembre, che pur desiderando “servizi migliori e più sviluppo in Iraq”, riesce comunque a vivere bene: “Lavoro quattro ore al giorno, ma guadagno abbastanza per mia moglie e i miei figli, per poi fare quello che voglio con il resto del mio tempo”. Ha aggiunto che “un tempo facevo parte delle forze di sicurezza”, ma che “guidare un taxi è il lavoro migliore del mondo. Questa, per me, è la libertà”.