“L'età dell'oro”

Orbán entra alla Casa Bianca con quattro obiettivi (suoi e di Putin)

Micol Flammini

Il premier cerca l’esenzione dalle sanzioni e ne approfitta per convincere Trump che Kyiv non può vincere. Cosa darà in cambio Budapest

Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha iniziato a parlare della sua visita a Washington con settimane di anticipo. A Roma, circa dieci giorni fa, aveva detto che Donald Trump aveva fatto un errore a imporre le sanzioni contro le due compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil, e sarebbe andato di persona a parlargliene. Oggi Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca, con grande ritardo per essere uno dei maggiori alleati del presidente americano Donald Trump, che lo ha accolto dopo dieci mesi dal suo insediamento. Nello Studio ovale ne sono passati di leader prima di Orbán, ma il ritardo non vuol dire che tra il premier e il presidente i rapporti non siano  buoni. L’incontro è stato un concerto di complimenti.  C’è una comunità ideologica e in passato i trumpiani andavano a prendere appunti da Orbán, diventato il punto di attrazione di una parte del Partito repubblicano che accorreva alle conferenze dei conservatori organizzate presso l’Università Matthias Corvinus di Budapest. Nel 2024, durante un incontro presso la sua residenza a Mar-a-Lago, Trump aveva definito Orbán “un grande leader, fantastico leader. Non c’è nessuno di più intelligente”. Il premier e Trump si scattarono una foto e il presidente, all’epoca in campagna elettorale, lo ringraziò  per l’amicizia e  gli sforzi per la pace. In un’altra occasione, Trump aveva anche tracciato delle similitudini fra se stesso e il premier, definendolo “forse un po’ controverso, proprio come me”. Il nome di Orbán aveva fatto capolino anche nell’unico dibattito fra Trump e Kamala Harris, quando il leader repubblicano citò il premier ungherese, definendolo “un uomo forte, intelligente formidabile”, che lo riteneva la persona “più rispettata e temuta”. I due si stimano, si piacciono e si copiano, eppure il premier ungherese è in questo momento il leader europeo meno pronto a recepire il piano dell’Amministrazione americana che vuole che siano gli europei a farsi garanti della pace in Ucraina, a spendere per la difesa di Kyiv e a sostenere, in futuro, la sua sicurezza. Soprattutto, Orbán è il leader europeo che ha categoricamente rifiutato la richiesta di Trump di rendersi indipendenti da tutte le fonti energetiche russe. La visita del premier ungherese puntava a  fare in modo che Trump, con l’entrata in vigore il 21 ottobre delle sanzioni a Rosneft e Lukoil, facesse un’eccezione per l’Ungheria e il presidente americano si è mostrato aperto a questa possibilità. Orbán ha convinto Trump che Budapest non ha alternative, non ha il mare e “gli oleodotti non hanno nulla di ideologico o politico”, ha detto Orbán riferendosi al Druzhba, l’oleodotto che collega la Russia all’Ungheria e che con le sanzioni potrebbe lasciare gli ungheresi a secco. Orbán conosce il vocabolario da usare con Trump, ha insistito sull’immigrazione, sapendo che per il presidente americano la politica “zero accoglienza” è un valore aggiunto: “Noi abbiamo zero immigrati  illegali e l’Ue ci sanziona per questo”, ha detto Orbán. Ha usato tutte le carte vincenti, accusando la passata Amministrazione Biden di aver rovinato i rapporti con l’Ungheria: “Sono     qui per sancire l’inizio di una nuova età dell’oro”, ha ripetuto Orbán diverse volte, con Trump che annuiva. “Non sono venuto per farmi proteggere dai miei colleghi dell’Ue, ma per l’età dell’oro fra l’Ungheria e gli Stati Uniti”, ha detto il premier. “E perché no anche con l’Ue”, ha replicato Trump. 

Orbán si è mostrato sicuro, ha definito l’Ungheria un’isola dentro un oceano liberale in Europa e cercava di calcare la mano contro l’Ue ogni volta che Trump sottolineava quanto buone fossero le relazioni con tutti i capi di stato e di governo in Europa. Gli obiettivi di Orbán erano molteplici. Al primo posto c’era la questione dell’energia, per la quale aveva portato con sé anche il capo del gruppo petrolifero ungherese Mol, Zsolt Hernádi. Al secondo c’erano le sue questioni elettorali interne: il prossimo anno si vota in Ungheria e per la prima volta il premier ha un rivale vero che lo supera nei sondaggi e una crisi economica acuita   dalle sanzioni alla Russia  sancirebbe il suo tracollo. Al terzo c’erano i suoi screzi con l’Ue e durante tutta la conferenza stampa che ha preceduto il pranzo non ha fatto altro che screditare le istituzioni europee, usando la clava dell’immigrazione. Al quarto posto c’era la sua missione più subdola: instillare in Trump l’idea russa che l’Ucraina non può vincere, per cui va fermata la guerra e non stimolata la solidarietà europea che fornisce le armi a Kyiv. “Tu credi che l’Ucraina non possa vincere?”, ha domandato Trump, davvero interessato. “Be’, i miracoli possono sempre accadere”, ha ridacchiato Orbán, che smania per organizzare il vertice a Budapest con il presidente americano e Vladimir Putin. Il premier ungherese è rimasto molto male quando Trump ha detto che la preparazione per il vertice a Budapest era stata bloccata perché “i russi non vogliono fermarsi”, ma ha comunque detto che in caso di incontro sarebbe contento accadesse in Ungheria. Orbán ha lavorato come cavallo di Troia di Putin, ma nessuno esce dalla Casa Bianca ottenendo un favore senza aver dato qualcosa in cambio. Infatti sia Orbán sia la compagnia petrolifera Mol hanno segnalato la disponibilità a sostituire il petrolio russo e Budapest si prepara ad acquistare per la prima volta combustibile nucleare americano. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)