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la notte elettorale

Mamdani sindaco, Spanberger e Sherrill governatrici: i democratici vincono a valanga negli Stati Uniti

Marco Arvati

New York, Virginia e New Jersey: l'opposizione vince ma con più forza di quanto ci si aspettasse. Per i Repubblicani, una notte amara che replica uno schema ormai consolidato: si vince solo quando Trump è sulla scheda elettorale

“I democratici dominano”. Con quest’apertura POLITICO certifica il successo dell’opposizione di questa notte: le vittorie in Virginia e New Jersey, il successo attesissimo di Mamdani a New York, la vittoria personale del governatore della California Gavin Newsom, che ha scommesso su un referendum per poter ridisegnare le mappe statali a vantaggio del suo partito e il mantenimento della maggioranza progressista alla Corte suprema della Pennsylvania. Nessuna di queste vittorie si può definire inattesa, in un anno elettorale in cui al voto andavano solo stati dove il partito gode di forte supporto, ma stupisce la portata delle affermazioni, soprattutto se confrontate con le percentuali ottenute da Kamala Harris lo scorso anno: conquiste che potrebbero ridare linfa a un partito che nell’ultimo anno è sembrato incerto sulla strada da prendere e demoralizzato dal ritorno al potere di Trump.

Nella sfida più seguita della serata, Zohran Mamdani è diventato sindaco di New York, nelle elezioni con l’affluenza più alta dal 1969, sconfiggendo di circa 10 punti Andrew Cuomo, candidatosi da indipendente. Salito sul palco per celebrare la vittoria, ha aperto il suo discorso citando Eugene Debs, il più importante leader socialista della storia degli Stati Uniti, affermando di “vedere l’alba di una nuova era per l’umanità” in una città “costruita dagli immigrati e, da stasera, guidata dagli immigrati”. Una vittoria attesa, ma che ha rischiato di complicarsi da quando Cuomo ha ottenuto l’endorsement di Donald Trump, che ha mobilitato i repubblicani a votare per lui e non per il candidato del partito, l’outsider Curtis Sliwa. Mamdani è il primo musulmano sindaco della città, il più giovane da circa un secolo, e il primo dichiaratosi apertamente socialista, con una campagna combattuta principalmente sulla crisi abitativa, con proposte di rottura come il tetto al prezzo degli affitti e la gratuità del trasporto pubblico. È riuscito ad avvicinare alla politica molti cittadini, in quella che molti analisti hanno descritto come una campagna di speranza, parola che è stata ripetuta costantemente nel discorso di vittoria, con toni simili a quella che condusse Obama nel 2008. Dopo le primarie, ha anche considerevolmente moderato le sue posizioni, ritrattando il suo precedente appoggio al movimento “defund the police”, che chiede di ridurre i fondi governativi alle forze dell’ordine. Resta da vedere come gestirà il suo appoggio alla causa palestinese in una delle città con la più ampia comunità ebraica al mondo, ma è un tema che, in ultima analisi, non ha particolarmente influito sulle sue possibilità di vittoria, nonostante Trump abbia scritto che “gli ebrei che lo votano sono stupidi”. Durante il discorso di vittoria, Mamdani ha affermato che “non si potrà più vincere le elezioni con toni islamofobi”: pochi giorni fa, Cuomo aveva detto se ci si potesse immaginare “l’11 settembre con Mamdani al comando”, in quello che è parso a molti un attacco sulla fede del candidato.

In Virginia, invece, Abigail Spanberger è diventata la nuova governatrice, la prima donna della storia dello stato. Lo ha fatto con un’affermazione imponente, che l’ha vista superare la sfidante, la repubblicana Winsome Earle-Sears, di 15 punti: stupisce lo spostamento nelle percentuali delle singole contee rispetto all’anno scorso, quando Harris aveva vinto la Virginia, ma di soli 5 punti. Nella contea di Loudon, vicina alla capitale e tendenzialmente democratica, Spanberger ha migliorato di 12 punti il risultato di Harris. La sua campagna si è focalizzata quasi esclusivamente sul costo della vita, con attacchi diretti al presidente nella gestione delle politiche economiche: d’altronde, Spanberger, come la nuova governatrice del New Jersey Mikie Sherrill, fa parte dell’ala centrista del partito, che ha sempre combattuto per contrastare Trump sul piano economico, lasciando da parte le questioni culturali che hanno caratterizzato il partito negli ultimi anni. La candidata repubblicana ha provato ad affermare che Spanberger sarebbe stata “la candidata pro-transgender”, ma sono stati temi lontani da una campagna elettorale combattuta durante un lunghissimo shutdown, sentito particolarmente in Virginia per via del fatto che è lo stato di residenza di molti dipendenti federali che lavorano a Washington. Nel discorso di vittoria, Spanberger ha citato “investimenti nello stato, in intelligenza artificiale e manifattura” e ha più volte citato l’importanza negli Stati Uniti della bipartisanship, la capacità di parlarsi tra partiti rivali, sempre più difficile da ottenere in uno schema polarizzato.

In New Jersey per la prima volta dagli anni ’60 un partito ottiene consecutivamente tre mandati di governo: Mikie Sherrill ha vinto con una campagna giocata in difesa, e costruita con l’obiettivo di legare a doppio filo il suo avversario, Jack Ciattarelli, a Donald Trump. Un’altra affermazione forte, arrivata con un appello al rispetto degli avversari: “non tutti mi hanno votato, ma sarò la governatrice di tutti”, ha affermato nella notte. Una sfida che nelle settimane precedenti sembrava molto più difficile di quanto si è rivelata: Sherrill ha infatti vinto di 13 punti, con un’importante affermazione a Gloucester, una contea rurale che Trump aveva vinto nel 2024 e in cui Sherrill ha migliorato di ben 6 punti il risultato di Harris.

Analizzando i risultati, sembra ripetersi lo stesso modello che si propone da quando Trump è entrato sulla scena politica nel 2016. I repubblicani fanno bene quando il presidente è direttamente sulla scheda, e riesce a portare alle urne persone che continuano a non votare il partito quando lui non si presenta: questo porta a risultati deludenti negli anni in cui la Casa Bianca non è in ballo. I repubblicani, invece, hanno definito la notte come la certificazione di uno spostamento del partito democratico su posizioni di sinistra radicale: una posizione difficile da sostenere dato che, con l’eccezione della vittoria di Mamdani, gli altri candidati del partito a prevalere vengono dall’ala moderata, e hanno ottenuto ottimi risultati. Mentre la battaglia per decidere quale ala del partito prevarrà sarà centrale nei prossimi mesi, i democratici possono festeggiare stasera: una nuova generazione di candidati ed elettori ha portato a larghe vittorie.