Osama Njeem Almasri

rilasciato da noi, catturato da loro

Il ghigno di Almasri, in manette a Tripoli. Ma il suo futuro è tutto da scrivere

Luca Gambardella

L'arresto del Capo della polizia penitenziaria e i precedenti di Bija e Bahroun. Perché non c'è da fidarsi della giustizia libica. L'Italia invece rischia la figuraccia al Consiglio di Sicurezza dell'Onu 

Roma. “Rideva”, racconta al Foglio un testimone che ha assistito alla scena dell’arresto di Osama Njeem Almasri, avvenuto ieri a Tripoli. Il capo della Polizia penitenziaria, la stessa che controlla una delle carceri degli orrori libici, quella di Mitiga, è stato sottoposto a fermo su ordine della procura della capitale libica, guidata da Sadiq al Sour. L’ipotesi di reato è tortura e violenze degradanti nei confronti di almeno dieci detenuti di Mitiga, uno dei quali è morto per le violenze subite per mano dello stesso Almasri.

Dal 21 gennaio scorso, il giorno del rilascio controverso con cui l’Italia ha permesso al generale libico arrestato a Torino di sfuggire al mandato d’arresto della Corte penale internazionale, sono successe molte cose, che rendono ora imprevedibile il futuro. Se Almasri sarà giudicato in Libia o se sarà estradato all’Aia,  è tutto da vedere. Il sistema di potere corrotto e criminale che prevale in Libia lascia  ancora ampi dubbi sulle possibilità che Almasri possa andare incontro a un processo e a una giusta sentenza. Per lui parlano i precedenti di altri capi milizia – dall’ex capo della Guardia costiera libica Abd al-Rahman al Milad, aka Bija, a Mohammed Bahroun, detto al Far, “il topo” –  prima arrestati per omicidi e crimini gravi e poi rilasciati o talvolta persino inquadrati in cariche istituzionali.

Ieri il governo italiano ha detto di avere saputo sin dall’inizio del mandato di arresto libico nei confronti di Almasri e di averlo restituito a Tripoli per questo motivo. Oltre a essere del tutto irrilevante ai fini dell’obbligo di consegnare Almasri all’Aia, è anche noto che il premier libico Abdulhamid Dabaiba non è mai stato netto nella sua volontà – né sulla sua capacità – di arrestare il generale, che non a caso si ritrova in carcere solo ora, a distanza di 11 mesi dal suo rilascio dall’Italia. Almasri è affiliato alla milizia della Rada, un tempo alleata di Dababia ma che negli ultimi mesi è diventata di intralcio per il potere del premier. Se è certo che Dabaiba userà Almasri per i suoi giochi di potere interni alla Libia, per il nostro paese resta invece quanto dichiarato all’unanimità dalla Corte penale internazionale lo scorso 18 ottobre: “L’Italia non ha ottemperato agli obblighi internazionali” per il mancato arresto di Almasri, accusato di crimini di guerra, omicidi, torture e stupri. Il rischio  è che il caso Almasri sia sollevato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con un danno di immagine che sarebbe senza predenti per la diplomazia del nostro paese.  

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.