Hemedti, comandante delle Rsf (foto LaPresse)
Fare patti con Hemedti
I soldi dell'Ue e dell'Italia per fermare i migranti in Sudan finiti a chi oggi massacra i civili
Dal 2014, decine e decine di milioni di euro spesi per mettere al sicuro i confini ma in Darfur affonda la strategia dell’esternalizzazione dei confini
“Il Processo di Khartoum, lanciato durante una conferenza ministeriale a Roma, ha permesso passi avanti per la cooperazione, dal combattimento contro il traffico degli esseri umani, alla protezione dei rifugiati, fino alla promozione della migrazione legale”. All’indomani della caduta di El Fasher, nel nord-ovest del Sudan, dove le pozze di sangue lasciate sulla sabbia erano talmente grandi da essere visibili persino dalle riprese satellitari, le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sembrano lontane anni luce. Invece sono state pronunciate appena pochi mesi fa, era il 9 aprile, quando il capo del Viminale si era recato al Cairo per rilanciare l’ormai moribondo Processo di Khartoum, dal nome della capitale sudanese.
L’iniziativa fu lanciata nel 2014 dall’Ue proprio su proposta italiana per chiudere i confini verso nord e impedire l’arrivo di migranti. Due anni dopo, quando il dittatore del paese africano era Omar al Bashir, l’Italia siglò in segreto un memorandum controverso con il Sudan, sotto l’egida di Matteo Renzi, Marco Minniti e Franco Gabrielli – all’epoca rispettivamente premier, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e direttore della Pubblica sicurezza – per il contrasto dell’immigrazione irregolare. Fu il primo di questo genere, anticipando i successivi conclusi in Libia e Tunisia. Il Processo di Khartoum destò critiche diffuse perché consegnava nelle mani di Bashir, accusato di genocidio nei confronti delle comunità non arabe in Darfur, decine di milioni di euro tra aiuti umanitari e altre forme di sostegno, alcune delle quali finalizzate a rafforzare le forze di polizia alle frontiere. Incidentalmente, alle dirette dipendenze di Bashir e responsabile del controllo di quelle frontiere verso Ciad, Libia ed Egitto, c’era Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, comandante delle Rapid Support Forces (Rsf).
Ora che El Fasher è caduta nelle mani delle Rsf, la guerra in corso in Sudan da due anni e mezzo e combattuta tra i vecchi alleati della strategia europea di esternalizzazione delle frontiere – Hemedti e il presidente Abdel Fattah Abdelrahman Burhan – dicono che la pressione migratoria al sud della Libia aumenta anziché diminuire. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ci sono 30 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria – più del doppio rispetto al 2022 – tra cui 9,6 milioni di sfollati interni (fra questi, 15 milioni sono bambini) e 900 mila rifugiati eritrei, sud sudanesi ed etiopi ammassati in pessime condizioni proprio a Khartoum, l’epicentro del “Processo” voluto fortemente da Italia ed Europa.
Nel tentativo di tenere lontani i migranti dalle coste del Nord Africa, l’Europa ha speso decine di milioni di euro, spesso foraggiando gli stessi perpetratori dei massacri in corso in Sudan. Al 2023, la gran parte dei fondi stanziata da Bruxelles in ottemperanza al Processo di Khartoum e a sostegno delle autorità sudanesi arrivava per circa il 75 per cento dall’Emergency Trust Fund per l’Africa (Eutf). Quasi mezzo miliardo di euro in meno di dieci anni, secondo i dati del Fondo, sono andati a finanziare decine di progetti umanitari e di assistenza alla governance – talvolta meritori nelle intenzioni – e alla sicurezza dei confini. Di questi, quasi 115 milioni di euro sono stati spesi per “migliorare la gestione migratoria”. Ma nonostante uno degli obiettivi principali dell’Eutf sia quello di debellare le cause dell’immigrazione irregolare, secondo Oxfam, al 2020 meno dell’1,5 per cento del denaro speso dal Fondo è stato diretto a incentivare vie di accesso regolari.
L’Ue ha sempre dichiarato che il denaro è stato gestito dai singoli stati membri, da organizzazioni internazionali e ong e che non è mai finito direttamente tra le mani delle Rsf di Hemedti. Non esistono però dati approfonditi in merito e i rapporti dell’Eutf, oltre a un lungo elenco di progetti umanitari e di aiuto alla governance, restano vaghi su chi e come effettivamente gestisca questo denaro. Quel che è certo invece è che dal 2016 e fino a settembre del 2025 l’Ue, su iniziativa tedesca, ha lanciato un altro programma controverso, il Better Migration Management (Bmm), articolato in tre fasi e finalizzato ad assistere gli stati del Corno d’Africa, tra cui il Sudan, nella gestione dei migranti. Con un budget di 122 milioni di euro – di cui 105 finanziati dall’Ue – il programma si è avvalso dell’expertise di Germania, Francia, Regno Unito e Italia. Lo scopo è quello di “fornire assistenza tecnica e addestramento fornendo materiale indispensabile ed equipaggiamento alle agenzie governative e di controllo delle frontiere”. Difficile credere che gli uomini di Hemedti non abbiano beneficiato di questo generoso pacchetto di aiuti, considerando che il confine tripartito tra Darfur, Libia ed Egitto ricade proprio sotto l’autorità delle Rsf.
In una inchiesta del 2016, lo Spiegel citò documenti interni all’Ue riferiti a una riunione tenuta tra gli ambasciatori degli stati membri e la Commissione. In quell’occasione, ci si ritrovò a valutare una lista dettagliata di richieste formulate dal ministero dell’Interno di Khartoum e alla fine si acconsentì ad addestrare le forze di polizia sudanesi addette al controllo delle frontiere, nonché a costruire due campi di detenzione dei migranti. I documenti scovati dalla rivista tedesca sottolineavano inoltre che la decisione presa in quella sede non sarebbe mai dovuta diventare di dominio pubblico “in nessun modo” perché, come riferito da un membro dello staff dell’allora Alto rappresentante dell’Ue, Federica Mogherini, la reputazione dell’Ue ne avrebbe risentito. Anche allora Bruxelles chiarì che le Rsf non avrebbero beneficiato dell’addestramento, ma non è mai stato spiegato però quali strumenti di monitoraggio siano stati impiegati per assicurarsi che ciò non succedesse, considerando che gli uomini di Hemedti erano all’epoca parte integrante delle forze di polizia sudanesi. Finché, nel 2020, l’Ue dovette ammettere di avere offerto sostegno direttamente alle Rsf, dopo che un’altra inchiesta dello Spiegel rese pubblica un’altra riunione tenuta nella capitale sudanese, quella fra l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu – uno dei partner coinvolti nel Procsso di Khartoum – e lo stesso Hemedti. In quella sede si discusse dell’opportunità di addestrare le Rsf con una spesa di almeno 10 milioni di euro, da scalare proprio dall’Eutf. Non se ne fece più nulla solo dopo la pubblicazione dell’inchiesta, per evitare altri danni all’immagine dell’Ue.