Il triangolo della soia
Gli agricoltori americani sono furiosi, schiacciati in mezzo ai dazi di Trump e ai suoi aiuti all'Argentina
I produttori statunitensi sono in difficoltà: la soia invenduta si deteriora, gli aiuti governativi restano fermi e la Cina preferisce acquistare dal Sud America, attratta dai vantaggi fiscali concessi da Buenos Aires. Nelle aree rurali cresce il malcontento verso le scelte della Casa Bianca
La Cina non ha ordinato nemmeno un carico di soia agli agricoltori americani, che stanno finendo il loro raccolto di quest’anno e si ritrovano con quantità ingestibili di soia, spesso conservate sotto i teloni, dove rischiano di marcire, ma l’alternativa è venderle in fretta, a prezzi irrisori. L’anno scorso, le spedizioni statunitensi in Cina avevano fruttato circa 5 miliardi di dollari, fino a luglio. Secondo gli ultimi dati del dipartimento dell’Agricoltura, nello stesso periodo di quest’anno la cifra si è dimezzata, attestandosi a 2,5 miliardi di dollari, e per la stagione 2025-26 non c’è stata alcuna richiesta. A settembre, la segretaria all’Agricoltura, Brooke Rollins, ha promesso un pacchetto di aiuti per gli agricoltori che coltivano la soia, ma poi è iniziato lo shutdown – il congelamento dei fondi dell’amministrazione pubblica americana – e così questi sussidi si sono bloccati. A metà ottobre, il presidente Donald Trump ha detto di voler valutare la possibilità di interrompere le importazioni di olio di cottura dalla Cina come “punizione” per il mancato acquisto della soia ma, scrive Bloomberg, si tratta di una minaccia che rischia di essere irrilevante: nel 2024, gli Stati Uniti erano sì la destinazione principale dell’olio di cottura, ma queste importazioni valevano circa 1,2 miliardi di dollari, molto meno dei circa 12,6 miliardi di dollari di esportazioni di soia dagli Stati Uniti verso la Cina. Il flusso di olio di cottura verso gli Stati Uniti si è comunque ridotto, a causa della combinazione di politiche fiscali, di politiche sui biocarburanti in entrambi i paesi e ovviamente dei dazi di Trump.
La soia è essenziale per il sistema alimentare cinese, non soltanto per le persone (in particolare l’olio di soia): la maggior parte dei semi importata diventa farina, principale alimento dei suini, che forniscono la maggior parte della carne del paese. Ma i frantoi e gli agricoltori cinesi hanno accumulato scorte di soia più elevate del solito e le riserve del governo hanno fornito un’ulteriore protezione: anche se, come ha suggerito il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, dovesse esserci un accordo sulla soia nell’incontro di domani tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, Pechino può aspettare fino all’inizio del 2026 prima di sentire le conseguenze del blocco di acquisti americani. Ma le riserve accumulate non sono l’unica ragione che spiega la calma cinese: nella seconda metà di settembre, il governo di Pechino ha prenotato almeno dieci cargo di soia argentina – in arrivo a novembre – dopo che Buenos Aires ha abolito le tasse sull’esportazione di cereali, aumentando così la competitività della sua soia: la guerra commerciale tra l’America e la Cina e la mossa fiscale del governo di Javier Milei hanno di fatto portato a una sostituzione, almeno per questa ultima parte dell’anno, della soia americana con quella argentina. Secondo un’analisi di Reuters, le 12-13 tonnellate di soia che la Cina ha importato tra settembre e ottobre quest’anno non sono arrivate dagli agricoltori americani, ma dall’America del sud, in particolare dall’Argentina e dal Brasile.
L’ira degli agricoltori americani, in particolare di quelli che abitano in stati come l’Iowa e il North Dakota, che dipendono molto dall’agricoltura, è stata ampiamente documentata dai media americani: buona parte di questi contadini ha votato per Donald Trump, ma ora si trova a pagare per la sua politica dei dazi. Si dice – ha scritto l’Economist – che nelle guerre commerciali non c’è mai un vincitore, “ma perdenti come i coltivatori di soia americani ce ne sono davvero pochi”: la competizione del Brasile è agguerrita (la soia brasiliana è più proteica) e i cinesi, consapevoli dei capricci americani, difficilmente vorranno ripristinare una dipendenza tanto forte nei confronti dell’America. Ma se si cita l’Argentina, gli agricoltori americani diventano furibondi: si sentono presi in giro.
Il 23 settembre, quando i cinesi acquistavano un quarto dell’intero raccolto di soia argentino a un prezzo molto conveniente visto che sono state sospese le tasse sull’esportazione, Trump incontrava a New York, durante l’Assemblea generale dell’Onu, proprio Javier Milei, dandogli non soltanto il prevedibile sostegno alle elezioni che si sono tenute domenica (e che Milei ha stravinto), ma anche una linea di credito di 20 miliardi di dollari alla Banca centrale argentina. Gli agricoltori non ci hanno più visto e alcuni democratici hanno colto l’occasione per dire a Trump che “invece di sovvenzionare un paese straniero per influenzarne le elezioni e nel frattempo indebolire ulteriormente gli agricoltori americani”, avrebbe dovuto dare priorità al rafforzamento della competitività agricola del paese, in fondo è lui che dice America first.
L’Associated Press ha pubblicato una foto dello schermo del telefono di Bessent, grande sostenitore del bailout all’Argentina, con un messaggio ricevuto da “BR”, probabilmente la ministra Rollins, che dice che stava accadendo una cosa spiacevole, perché l’Argentina, appena salvata, ha tolto i dazi sulle proprie esportazioni e vende soia alla Cina a prezzi bassi, annichilendo le già scarse commesse americane. Questo dà un potere alla Cina su di noi, scrive BR, indicando un link a X in cui si dice che la Cina sta ricevendo 20 cargo di soia dall’Argentina mentre noi diamo soldi all’Argentina, forse pensano che siamo imbecilli.
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