Il vero obiettivo di Trump è minimo: costringere Mosca a negoziare
Prima ancora di parlare di accordi, le sanzioni servono a trascinare Putin al tavolo
Il presidente americano Donald Trump aveva tre opzioni: la prima molto dura per colpire direttamente l’industria russa e i principali dirigenti russi; la seconda di media durezza per intaccare il sistema energetico russo; la terza leggera e comprendeva una serie di sanzioni limitate. Qualche mese fa, prima dell’incontro con Vladimir Putin ad Anchorage, in Alaska, Trump avrebbe forse preferito l’opzione leggera, ma dopo nove mesi di tentativi, telefonate e addirittura un vertice fallimentare, il capo della Casa Bianca, tra le opzioni preparate dai suoi uomini di fiducia, ha scelto quella dalla durezza intermedia per mandare al Cremlino un segnale serio, robusto, ma negoziabile. La ricostruzione delle tre opzioni messe davanti al presidente americano ormai frustrato dal suo rapporto con Vladimir Putin è del Wall Street Journal, Il quotidiano americano ha sentito diversi funzionari che sono stati testimoni della stanchezza e della rabbia del presidente, dei tentativi fatti con la Russia, delle porte lasciate aperte fino a quando Trump, dopo aver parlato con Putin la scorsa settimana e aver avuto l’ottava conversazione cordiale ma inconcludente, non ha ammesso: “Ogni volta che parlo con Vladimir faccio delle belle conversazioni e poi non si va da nessuna parte”.
Scoraggiato ha capito che era arrivato il momento di agire, ha chiesto conferma al capo del Pentagono Pete Hegseth e al segretario di stato e capo della Sicurezza nazionale Marco Rubio e ha agito, annunciando delle sanzioni sulle due maggiori compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil, dando comunque a Mosca quattro settimane di tempo prima che le misure diventino effettive. Non è il segnale che l’Amministrazione americana ha deciso di cambiare strategia nei confronti del Cremlino, è un indizio del fatto che Donald Trump è ancora intenzionato a lavorare per far finire la guerra in Ucraina e si è reso conto che il suo obiettivo è molto più complesso di quanto aveva annunciato in campagna elettorale. I funzionari della Casa Bianca descrivono un Trump frustrato che cerca di capire come costringere Vladimir Putin a trattare, ha scelto di mettere il Cremlino di fronte a una minaccia concreta, ma la porta è aperta e il capo della Casa Bianca ha altri strumenti a disposizione per fare pressione. Nella lista delle possibilità per mostrare a Putin che la pazienza della Casa Bianca ha un limite le opzioni sono ancora molte e comprendono: l’invio all’Ucraina di missili a lungo raggio Tomahawk; l’imposizione di sanzioni secondarie a tutte le aziende che fanno affari con i giganti del petrolio russi sanzionati; sanzioni anche alla flotta ombra russa composta da petroliere illegali. Trump è ancora interessato a un accordo con Putin, non vuole lo scontro né diplomatico né tanto meno militare.
“Il presidente ha ripetuto per mesi che a un certo punto avrebbe dovuto fare qualcosa se non avessimo ottenuto progressi sull’accordo di pace – ha detto ai giornalisti il segretario di stato Marco Rubio – Ora ha deciso di fare qualcosa”. In questa decisione Rubio ha avuto un ruolo: stava a lui prendere le misure alla controparte russa e dopo aver parlato lunedì con il suo omologo Sergei Lavrov e avergli sentito ripetere esattamente le stesse pretese di agosto, ha suggerito che sarebbe stato prematuro organizzare un incontro a Budapest nel giro di pochi giorni. Gli Stati Uniti stanno perseguendo un obiettivo che non è quello di far accettare un accordo al Cremlino – al momento non esiste nessun accordo – ma si tratta di uno scopo davvero minimo: portare Vladimir Putin al tavolo dei negoziati. In questo esatto punto le strade fra gli Stati Uniti e la Russia si allontanano perché il capo del Cremlino non ha intenzione di negoziare, vuole che Trump faccia accettare agli ucraini le condizioni russe per la fine della guerra: cessione delle intere regioni di Donetsk, che Mosca non controlla del tutto, e di Luhansk, congelamento del resto della linea del fronte, riconoscimento americano della sovranità russa sulla penisola di Crimea, disarmo dell’Ucraina, esclusione di ogni possibilità che Kyiv entri nella Nato. Il presidente americano invece ha proposto di fermare il conflitto lungo la linea del fronte, Volodymyr Zelensky con una dichiarazione firmata con altri leader europei ha espresso il suo allineamento con Trump. Congelare il fronte vorrebbe dire un cessate il fuoco e Putin non vuole un cessate il fuoco senza prima aver ottenuto quello che non è riuscito ad avere militarmente. Il capo della Casa Bianca quindi punta a portare Putin al tavolo dei negoziati, a creare una situazione in cui ci sia anche Zelensky se non seduto nella stessa stanza almeno in quella accanto per creare una dinamica da “diplomazia della navetta”: con i mediatori che si spostano e comunicano fra le due parti. Questo era lo scenario che Trump immaginava a Budapest, ma il Cremlino insiste nel voler parlare soltanto con gli americani e usarli per imporre agli ucraini di accettare le condizioni russe.
Al tavolo dei negoziati per il momento non si siede nessuno, Trump attenderà un segnale concreto da parte di Putin, ma non ha chiuso la strada dei colloqui. Infatti oggi l’inviato americano Steve Witkoff potrebbe incontrare Kirill Dmitriev, il capo del Fondo russo per gli investimenti all’estero. I due hanno un ottimo rapporto, Dmitriev tenta di blandire Trump tramite Witkoff: nel suo ultimo intervento ha parlato di un ponte per collegare Russia e Stati Uniti lungo lo Stretto di Bering.