L'editoriale dell'elefantino

La carognata di spedire in carcere Sarkozy

Giuliano Ferrara

Ai moraleggiatori sfugge l’abnormità del giudiziario che si fa politica, e dire che le lezioni sono molte. A partire da Trump

Evidente carognata spedire in carcere l’ex presidente francese Sarkozy per una sentenza non definitiva. Questo per il cittadino. Quanto all’uomo di stato, è autolesionismo nazionale incarcerare un ex presidente, che per ragioni di immunità della sua carica e poi del suo ruolo dovrebbe godere nel tempo della grazia di stato. Nei commenti italiani viene fuori il paragone con Craxi e Berlusconi, l’uno costretto a vivere e morire all’estero per sottrarsi alla galera prima del solito ciclo di morte e riabilitazione civile, l’altro a una umiliante trafila di assistenza sociale compensativa della pena e alla cacciata dal Senato prima del rientro trionfale e delle successive revisioni del giudizio pubblico. Per non parlare dell’enormità delle accuse di mafia o di fiancheggiamento e riciclaggio abbattute qualche giorno fa da una sentenza definitiva della Cassazione dopo tre decenni di calunnia e maldicenza sparsa nel vento contro le imprese Fininvest e Mediaset. La legge è uguale per tutti, ma non tutti devono essere giudicati da funzionari in toga. Chi ha il crisma dell’elezione popolare o rappresenta l’unità dello stato deve essere giudicato dagli eletti, quelli che Berlusconi chiamava “i miei pari”, quelli che prima del colpo parlamentare con cui venne abrogata la guarentigia della Costituzione mandarono assolto Craxi con voto segreto nella Camera a cui apparteneva per scelta del popolo sovrano. Elementare salvaguardia della divisione dei poteri e barriera contro la politicizzazione della giustizia e l’ordalia populista contraria alla democrazia liberale, inutile insistere e straparlarne.

 

I commenti italiani su questo punto decisivo glissano, fanno colore sulla dignità di un carcerato d’eccellenza che accetta la pena ma non la condanna, il che ha il fascino della testa alta ma non di meno risente di una logica di resa. Luigi XVI fu giudicato e ghigliottinato per decisione della Convenzione nazionale nel 1793, ci volle una grande rivoluzione immersa nel Terrore per dare al popolino la testa del regnante. Il Parquet nazionale finanziario di Parigi, che ha incarcerato Sarkozy in nome del mito dell’autonomia assoluta dell’ordine giudiziario, non ha altrettanta legittimazione. La magistratura d’assalto e d’intrigo è un potere codino con propensioni populiste, non un’assemblea rivoluzionaria dominata dai giacobini che legifera in nome del popolo, anche questa una soluzione non augurabile ma con una sua decenza e coerenza. I comunisti, realisti e rispettosi dello stato,  fecero dimettere Giovanni Leone dopo un colloquio con Paolo Bufalini senza toccarlo in giudizio sulla scia di una campagna di stampa che si rivelò in gran parte farlocca e che aveva portato all’ipocrisia del referendum che cancellò il finanziamento pubblico dei partiti. Negli Stati Uniti, il repubblicano che gli succedette diede la grazia presidenziale a Nixon. Niente di più dissimile e perfino opposto tra un Paolo Bufalini e un Gerald Ford, ma certi criteri valgono sempre in modo uniforme. La Francia fa eccezione perché adora alla stessa stregua il dominio royaliste del potere e la rivolta contro il potere, e oscilla tra i due poli. 

 

Il particolare che sfugge ai nostri moraleggiatori, così diversi dai moralisti e dalla loro integrità, è l’abnormità del giudiziario che si fa politica. Ormai le lezioni sono molte.  Il caso Trump, un braccio di ferro risolto con un esito di incrementale autoritarismo personale e di sfrenata costruzione del mandato popolare come idolo intoccabile. Il caso italiano dei moralizzatori moralizzati (Di Pietro e centinaia di altri crociati della moralità) e dell’ingiustizia disvelata dagli stessi processi e dalle sentenze definitive. Disponete in fila gli articoli corrivi che hanno messo insieme le parole “mafia” e “Berlusconi” e vi renderete conto di quante tonnellate di carta straccia sia fatta la crisi della Repubblica, di quanto grandi siano le responsabilità della società civile nel precipitare della credibilità della giustizia e della politica. Abbiamo vissuto nella favola del conflitto di interessi, piegandoci alle apparenze e rifiutando la ragionevolezza, e siamo arrivati alla teoria del business e del billionaire come faro della politica e della pace, con arricchimento vertiginoso dei nuovi eroi della politica popolare e un impoverimento avvilente della cultura politica mondiale. La vecchia talpa della manipolazione e della mistificazione non scava poi così bene. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.