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Editoriali

Il giusto Sakharov a Amaghlobeli e Poczobut

Redazione

L’Europarlamento assegna il premio ai due giornalisti che hanno combattuto per la "libertà di pensiero". Hanno sfidato i loro regimi e ora sono in carcere in Georgia e in Bielorussia con motivazioni inconsistenti che li rendono di fatto prigionieri politici. Per non tradirli, c'è bisogno di azioni più concrete, oltre ai simboli

 

Il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov a due giornalisti che per la “libertà di pensiero” – è questa la motivazione del premio –  hanno combattuto, dimostrandosi pronti a tutto per proteggerla o ottenerla. Mzia Amaghlobeli e Andrzej Poczobut hanno sfidato i loro regimi e ora sono in carcere in Georgia e in Bielorussia con motivazioni inconsistenti che li rendono di fatto prigionieri politici. Amaghlobeli ha partecipato alle proteste in Georgia che proseguono determinate contro il governo che ormai ha assunto il controllo di ogni organo politico del paese. La giornalista sta perdendo la vista, ha fatto un lungo sciopero della fame, ma nonostante le sue condizioni rimane incarcerata da un potere che intende continuare la sua lotta contro i cittadini che proprio un anno fa credevano ancora di cambiare il governo con un voto e poi si sono ritrovati frodati.

 

Poczobut è il corrispondente da Minsk del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, è stato arrestato nel 2021, anche lui nell’ambito delle proteste contro il regime. Anche i bielorussi speravano di cambiare tutto con un voto, ma di quel voto, nel 2020, al dittatore Aljaksandr Lukashenka non è interessato nulla: ha fatto distruggere le schede elettorali e si è proclamato vincitore. I cittadini sono scesi in strada, sono stati picchiati e arrestati, uccisi. Lukashenka ha consegnato il suo paese alla Russia per avere protezione, proprio come ha fatto la Georgia. Oggi la Bielorussia è uno dei paesi con il numero più alto di prigionieri politici. Amaghlobeli e Poczobut sono in galera ingiustamente in quanto cittadini e in quanto giornalisti: un regime che non vuole proteste non vuole neppure qualcuno che le racconti. Il segnale che il Parlamento europeo si ricorda di due giornalisti e di due popoli che per la libertà sono pronti a tutto è un buon segnale, riaccende una luce sulle loro storie. Per non tradire Mzia, Andrzej e i cittadini che con loro cercano di difendere la “libertà di pensiero” c’è bisogno di azioni più concrete, oltre ai simboli: Georgia e Bielorussia raccontano storie simili, errori evitabili.