Giustizialismo d'Oltralpe

Cosa non torna nelle accuse a Sarkozy

Mauro Zanon

Il processo contro l'ex presidente francese, che oggi sconterà il suo primo giorno in carcere, si basa su un presunto finanziamento libico alla sua campagna elettorale del 2007. Eppure, dicono i suoi legali, non c'è neppure un versamento o un bonifico che dimostri questa dazione. Manca insomma la prova

Parigi. “Nulla giustifica questa detenzione”, ha detto martedì mattina Jean-Michel Darrois, uno degli avvocati di Nicolas Sarkozy, l’ex presidente della Repubblica francese che questa sera passerà la sua prima notte in prigione, alla Santé, scontando la pena di cinque anni di reclusione ai quali è stato condannato per associazione a delinquere nell’ambito dell’affaire sui presunti finanziamenti libici della sua campagna per le presidenziali del 2007. “Una sola notte in prigione è una notte di troppo”, ha aggiunto ai microfoni di BfmTv Christophe Ingrain, l’altro avvocato che assicura la difesa dell’ex leader gollista. “Mentre stiamo parlando, la richiesta di scarcerazione è stata già depositata”, ha precisato Ingrain. La Corte d’appello ha due mesi di tempo per pronunciarsi. Se la richiesta verrà respinta, Sarkozy, come previsto dall’“esecuzione provvisoria” decisa dal Tribunale correzionale di Parigi che lo ha condannato, starà in prigione almeno fino alla sentenza di secondo grado, attesa nel 2026. Il team di legali resta fiducioso su una sua liberazione (con molta probabilità, sconterà il resto della pena agli arresti domiciliari, con il braccialetto elettronico) pur contestando con veemenza l’esecuzione provvisoria. “Non ci sono rischi di ripetere i fatti, né di distruzione delle prove, dal momento che non ce ne sono, né di pressione sui testimoni”, ha dichiarato Ingrain. Il punto più importante della linea di difesa è proprio l’assenza di prove concrete che dimostrino un versamento libico destinato alla sua campagna del 2007. “Non troverete mai un solo euro, ma neppure un centesimo libico, nella mia campagna elettorale”, aveva detto Sarkozy nel gennaio 2025, prendendo per la prima volta la parola al processo per i presunti finanziamenti di Gheddafi. Dopo tre mesi di udienza, ad aprile, il Monde titolò così: “Il processo sull’affaire libico si conclude senza prove dirette, ma con molti sospetti”. Ma molti sospetti, appunto, non fanno una prova.  E l’accusa, in dieci anni di istruzione, non è riuscita a produrre nessun documento, bonifico o conto bancario direttamente legato alla campagna per l’Eliseo nel 2007 che certifichi il passaggio materiale di fondi libici destinati a Sarkozy.

 

Ma c’è di più. Il documento che nel 2012 ha spinto la Procura nazionale finanziaria ad aprire un fascicolo contro l’ex capo dello Stato è stato definito dalla stessa presidente del Tribunale correzionale che ha condannato Sarkozy, Nathalie Gavarino, “un probabile falso”. Il documento diffuso da Mediapart, fondato dall’ex trotzkysta Edwy Plenel, risale al 2006 e evoca un “accordo di massima”, firmato dall’allora capo dei servizi segreti esteri libico Moussa Koussa, per “sostenere la campagna del candidato” Sarkozy “per un importo pari a 50 milioni di euro”. Ma “non vi è alcun elemento che abbia permesso di corroborare il contenuto della nota, che appariva già fragile”, ha affermato la presidente del Tribunale correzionale lo scorso 25 settembre, prima di aggiungere: “È molto probabile che questo documento sia un falso”. L’altro punto che la difesa mette in evidenza per denunciare la fragilità dell’accusa è la questione degli intermediari, e di uno in particolare: l’uomo d’affari franco-libanese Ziad Takieddine. Per anni, ha affermato di aver svolto un ruolo di intermediario tra la sarkozia e il regime di Gheddafi, e soprattutto di aver consegnato circa cinque milioni di euro in contanti a Sarkò e ai suoi collaboratori da parte del raìs tra il 2006 e il 2007. Morto a Beirut lo scorso 23 settembre, Takieddine, nel 2020, aveva tuttavia ritrattato gran parte delle sue dichiarazioni, affermando che “mai un solo euro libico è arrivato a Sarkozy”. Per il team di avvocati dell’ex leader gollista, la marcia indietro del testimone chiave basta da sola a distruggere la credibilità della macchina accusatoria.

 

Claude Guéant, soprannominato “il cardinale”, l’austero grand commis divenuto direttore della campagna elettorale del suo boss nel 2007, e l’ex ministro dell’Interno Brice Hortefeux, sarebbero andati a cercare fondi da Gheddafi per la campagna del 2007, effettuando molti viaggi in Libia. Ma il tribunale non ha trovato alcuna prova di flussi di denaro a beneficio dell’allora candidato dell’Ump e per questo motivo Sarkozy, in primo grado, è stato assolto dalle accuse di ricettazione, appropriazione indebita, corruzione e finanziamenti illegali. Tuttavia, secondo i magistrati, l’ex leader gollista non poteva non essere al corrente di quei viaggi: ci fu dunque una “associazione a delinquere” cui il futuro presidente avrebbe partecipato. Se non si fosse chiamato Nicolas Sarkozy sarebbe stato condannato con esecuzione provvisoria? È l’altra critica della difesa a una giustizia che avrebbe strumentalizzato il processo, costruendolo come un atto simbolico contro la figura di Sarkozy e arrivando a una condanna sulla base di indizi e non di prove oggettive. “Nel momento in cui mi appresto a varcare le mura della prigione della Santé, i miei pensieri vanno alle francesi e ai francesi di ogni condizione e opinione. Voglio dire loro che non è un ex presidente della Repubblica a essere incarcerato questa mattina, ma un innocente”, ha scritto in un messaggio su X Sarkozy nel tragitto verso il carcere. Parlando di “scandalo giudiziario” e di “calvario che subisco da oltre 10 anni”, Sarkozy ha denunciato un “caso di finanziamento illegale senza il minimo finanziamento”. Durante una conferenza stampa a Ljubljana, in Slovenia, l’attuale presidente francese Emmanuel Macron, ha detto che il dibattito sull’esecuzione provvisoria è “legittimo in una democrazia, perché tutti desiderano che esistano vie di ricorso e di appello”.

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