
Ansa
il giorno della marmotta
Trump si è rimesso ad alzare la voce con Zelensky
L'incontro del 17 ottobre si è svolto secondo un copione già visto. Questa volta a mettere in imbarazzo il presidente dell'Ucraina non sono stati J. D. Vance o Marco Rubio, ma i giornalisti accreditati alla Casa Bianca
Donald Trump ha deciso di dare un’altra chance a Vladimir Putin, non è più deluso, non è più offeso per quella lezioncina di storia che il presidente russo gli ha impartito ad Anchorage, il 15 agosto scorso, invece che dargli una briciolina di tregua da sventolare davanti al mondo per poter urlare: io sono l’unico che sa fare la pace. Il fastidio è stato superato e così i trumpiani possono tornare ad alzare la voce con gli ucraini, a dire cose come: se non cedete, sarete distrutti, a porre condizioni inaccettabili, a dire le loro oscenità, come quella che – secondo il Washington Post – ha detto l’inviato tuttofare Steve Witkoff a Volodymyr Zelensky durante l’incontro del 17 ottobre alla Casa Bianca: devi cedere il Donbas, Putin vuole il Donbas, tanto lì parlano tutti russo.
Possiamo solo immaginare la pazienza eroica che deve avere avuto il presidente ucraino lì dentro, dopo mesi in cui, in seguito alla prima, gigantesca umiliazione nello Studio ovale, ha fatto di tutto per dimostrare che l’Ucraina può vincere contro i russi, se solo gli americani ci credessero un pochino, se solo capissero che cosa vuol dire prepararsi al quarto inverno di buio e freddo senza avere alcuna colpa se non quella di voler vivere in un paese libero, indipendente, europeo: gli ucraini hanno tenuto il fronte fermando l’offensiva russa (di questo passo, scrive l’Economist, i russi riuscirebbero a conquistare tutto il Donbas nel 2030), hanno ampliato e diversificato la produzione di droni e missili, hanno imposto le loro “sanzioni” alla Russia (quelle americane spesso annunciate come imminenti non sono state né aggiornate né rafforzate) colpendo obiettivi militari ed energetici in territorio russo.
Intanto hanno ricostruito binari, centrali elettriche, strade, tutto quello che i russi ogni notte distruggono con un’intensità e una ampiezza mai viste prima. Ma niente (non proprio niente: sembra che la collaborazione dal punto di vista dell’intelligence, cruciale per gli ucraini, sia ancora in vigore), Trump vuole negoziare con Putin, Putin non vuole negoziare ma solo coltivare le illusioni di Trump, ed è per questo che l’espressione che gli ucraini ripetono di più è: il giorno della marmotta. Con una piccola speranza: per non spezzare l’incantesimo in vista del vertice a Budapest, il Cremlino potrebbe rallentare gli attacchi, e per il sistema energetico ucraino una pausa è salvifica.
Che il giorno della marmotta fosse ricominciato si è capito già durante l’incontro con i giornalisti che ha preceduto il pranzo e la discussione fra Trump e Zelensky. Questa volta a mettere in imbarazzo il presidente ucraino non sono stati J. D. Vance o Marco Rubio, ma i giornalisti accreditati alla Casa Bianca. Abbiamo spesso raccontato i cambiamenti imposti dai trumpiani alla sala stampa, i posti riservati ai “nuovi media”, il declassamento dei giornalisti considerati ostili (i veterani o le testate tradizionali), e la scorsa settimana c’è stata la rivolta dei giornalisti accreditati al Pentagono, che non vogliono sottostare alle nuove regole censorie imposte dal ministro Pete Hegseth e hanno preso le loro cose, lasciando tutti insieme le loro postazioni e l’edificio. Maureen Dowd scrive sul New York Times: “Hegseth è diventato più paranoico e risentito, qualità di cui abbiamo invero bisogno nella persona che supervisiona un budget di quasi un trilione di dollari, truppe e armi in tutto il mondo”. Trump sembra più aperto verso i giornalisti, perché vuole attenzioni, ma “ora nella sala stampa della Casa Bianca c’è l’atmosfera inquietante dell’Invasione degli ultracorpi – scrive Dowd – mentre le postazioni dei media tradizionali si riempiono di sostenitori Maga, come i due ‘reporter’ della Casa Bianca della rete ‘di notizie’ di Mike MyPillow Lindell”. Una di loro, Cara Castronuova, era in prima fila dietro a Zelensky e alla delegazione ucraina, con la giacca rossa e la domanda scritta sul telefono: mi scuserà Mr President, ha detto rivolgendosi a Trump l’ex pugile diventata giornalista accreditata alla Casa Bianca, ma oggi vorrei fare una domanda al presidente ucraino e la domanda era: “Il presidente Trump ha appena mediato un accordo di pace in medio oriente di cui tutti gli americani, in entrambi gli orientamenti politici, sono molto orgogliosi. Ma per raggiungere quell’accordo, entrambe le parti hanno dovuto fare delle concessioni. Il nostro presidente ha già affrontato molti rischi per raggiungere un accordo di pace anche per la vostra guerra. Quali concessioni specifiche siete disposti a fare per porre fine a questa guerra con la Russia? Rinuncerete all’adesione alla Nato?”. E poi ha aggiunto: “Gli americani sono stanchi delle guerre all’estero e, come ha detto il nostro presidente, anche noi abbiamo bisogno dei Tomahawk”. Trump ha sorriso, ha detto: che domanda, e a Zelensky è toccato ripetere i fondamentali: siamo qui per discutere di tutto, siamo pronti al cessate il fuoco, è Putin che non lo è. Castronuova ha insistito: ma la Nato? E di nuovo Zelensky, misurando ogni parola, ha spiegato che le garanzie di sicurezza sono indispensabili per il futuro dell’Ucraina. Poi di nuovo è intervenuto Brian Glenn facendo i complimenti a Zelensky per come era vestito (lui era quello che a marzo aveva detto al presidente ucraino: ma non ce l’hai un abito da mettere per venire alla Casa Bianca?) e Paul Decoy, di Fox News, che con il suo perenne sguardo torvo ha posto a Trump l’interessantissima domanda: chi negozia meglio, Zelensky o Putin? e poi ha continuato dicendo che se l’America viene attaccata non può restare senza i Tomahawk, anticipando quel che si era capito, cioè che la discussione su questi missili era già finita. Quando è toccato a un giornalista ucraino chiedere quel che fino a quel giorno sembrava la cosa più rilevante, cioè i missili che Putin considera la linea rossa che gli americani non devono superare (e Trump ha deciso di rispettarla), Trump gli ha detto: bella domanda, Zelensky ti ha istruito bene.
Nel mondo alla rovescia, i giornalisti hanno tormentato Zelensky anche dopo l’incontro – quando si era capito che non era andato bene e Trump era già partito per Mar-a-lago – domandandogli quanto odia Putin e altre cose del genere, presupponendo che il problema fosse e sia il presidente ucraino e non il presidente russo che negozia soltanto la resa di Kyiv. Ma forse nulla batte Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, che alla domanda di un reporter dell’Huffington Post, quindi di sinistra: chi ha scelto Budapest come luogo dell’incontro tra Putin e Trump, ha risposto: “Tua madre”.