
Oltre gli affari
Tra i 25 libri che Kushner dice di aver letto sul medio oriente, ce n'è uno che ha acceso la scintilla
La spregiudicatezza, la minaccia “arrendetevi o morirete”, l’imprevedibilità di Trump hanno avuto un peso rilevante, così come l’intreccio di enormi affari che vanno ben oltre il cessate il fuoco. Il libro amato da Kushner
Com’è che tre uomini esperti di real estate – il presidente americano Donald Trump, suo genero Jared Kushner, e l’inviato in medio oriente Steve Witkoff – sono riusciti a imporre il cessate il fuoco a Gaza, a far riconsegnare 20 ostaggi vivi catturati da Hamas il 7 ottobre e a far liberare quasi duemila palestinesi dalle carceri israeliane? Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e uno dei più attenti conoscitori (anche per frequentazioni dirette) dei negoziati stremanti che hanno scandito la questione israelo-palestinese, risponde a questa domanda con il suo approccio da mediatore: il team Trump non è un gruppo di esperti di medio oriente, non ha i pregiudizi e la frustrazione di chi si occupa di questa parte di mondo, non vede linee rosse, tabù, richieste impossibili come invece fanno i negoziatori che da decenni si sono trovati a dover gestire tregue e violazioni e un odio insuperabile. Questa ignoranza, mescolata agli affari (di real estate e non solo), ai legami personali con tutti i leader della regione, al sostanziale disinteresse per il soft power compensato dalla passione per l’arte militare (Trump si vantò moltissimo delle armi americane usate per colpire l’Iran), ha permesso di arrivare dove agli esperti sembrava impossibile.
La spregiudicatezza, la minaccia “arrendetevi o morirete”, l’imprevedibilità di Trump hanno avuto un peso rilevante, così come l’intreccio di enormi affari che vanno ben oltre il cessate il fuoco – un intreccio che è alla base degli Accordi di Abramo, che sono stati costruiti, come il piano per Gaza, da Jared Kushner. Il quale, a differenza degli altri due, rivendica un certo grado di studio e di conoscenza della questione mediorientale. Nel 2020, Kushner aveva detto di avere tessuto rapporti personali con ogni leader della regione, di aver viaggiato indefesso per tre anni e di aver letto “25 libri” sulla regione: qualche mese dopo gli Accordi di Abramo – che prevedono il riconoscimento di Israele da parte dei paesi arabi della regione – sarebbero stati sanciti, ma nel frattempo quei 25 libri letti dal genero di Trump erano diventati uno sberleffo, c’era chi faceva articoli seriosi elencando tomi indispensabili che sicuramente Kushner non aveva incluso nelle sue letture, e chi invece lo prendeva soltanto in giro. I 25 libri di Kushner erano diventati la sintesi del dilettantismo trumpiano (negli ultimi giorni, i difensori di Trump, tutti tronfi, stanno riprendendo quei commenti dicendo: come la mettiamo adesso?). Qualcuno aveva cercato di sapere quali fossero questi benedetti libri e la rivista Forward aveva unito qualche puntino – copertine sbirciate sulla scrivania dei collaboratori di Kushner o loro dichiarazioni – e aveva indicato alcuni di questi possibili 25. Tra questi c’era “Thirteen Days in September”, lo splendido e meticoloso racconto di Lawrence Wright sui negoziati a Camp David nel 1979, quando per tredici giorni l’allora presidente americano Jimmy Carter chiuse nella stessa casa il premier israeliano Menachem Begin e il presidente egiziano Anwar el Sadat e ne uscì, tra minacce e tentativi di andarsene, con il riconoscimento egiziano dello stato di Israele (inizialmente non era un libro, ma uno spettacolo teatrale). Matthew Brodsky, un esperto di geopolitica, aveva riferito che Kushner e l’allora inviato della Casa Bianca Jason Greenblatt, gli avevano detto di aver imparato molto da “Thirteen Days”.
In un’intervista con Lex Fridman – autore di un podcast omonimo che è diventato noto in Europa in seguito alla visita di Fridman a Mosca per registrare una conversazione con Vladimir Putin – Jared Kushner ha citato il saggio di Wright e in particolare una parte: “Una delle mie storie preferite di quel libro riguarda Anwar el Sadat, che era un leader molto importante, e che aveva un consigliere che era un mistico (...) e che aveva aperto un canale segreto e diretto con gli israeliani. Il mistico aveva detto a Sadat: ‘Se vai in Israele e fai un discorso alla Knesset, Begin è pronto a darti il Sinai’. Così Sadat va in Israele, gli organizzano tutto, lui fa il discorso alla Knesset, poi c’è una riunione e dice: ‘Ok, bene, allora lo facciamo?’. E Begin gli risponde: ‘Di cosa stai parlando? Non ti darò nemmeno un centimetro della nostra terra’. E’ stato un malinteso a determinare la visita simbolica di Anwar el Sadat in Israele, ma quella visita ha fatto pensare che fosse possibile una cosa che fino a un attimo prima era ritenuta impossibile”. Kushner poi racconta che durante i negoziati per gli Accordi di Abramo, c’era stato un episodio simile, quando un suo consigliere gli aveva detto: “Perché non andiamo da Israele agli Emirati non con un aereo di stato ma con un aereo El Al così di fatto inauguriamo il primo volo commerciale tra i due paesi?”. Proviamoci, gli aveva detto Kushner, e la foto dell’aereo con la bandiera israeliana che atterra nell’aeroporto degli Emirati è diventata il simbolo di una possibilità che fino a quel momento era impensabile.
Anche in quest’ultimo negoziato per il piano di pace per Gaza c’è stato un episodio che non sembrava possibile e che ha cambiato tutto: l’incontro di Kushner e Witkoff con quattro leader di Hamas. Secondo la ricostruzione di Barak Ravid su Axios, è andata un po’ come con il mistico, un egiziano ha detto agli americani che se avessero incontrato direttamente il gruppo terroristico palestinese e si fossero stretti la mano, l’accordo era fatto. A differenza di allora, la promessa è stata mantenuta, il cessate il fuoco è arrivato, e se Kushner avesse letto soltanto un libro, e tutto il resto fossero soltanto soldi e traffici, “Thirteen days” era quello giusto.