
La protesta dei giovani marocchini in questi giorni a Rabat (foto Getty)
La rivolta “GenZ 212”
La protesta dei giovani in Marocco spaventa il governo. E pure in Algeria si scende in strada
Due morti e scontri che si fanno sempre più violenti tra polizia e giovani. Si chiede la rimozione del governo, colpevole di sperperare denaro per la Coppa del Mondo di calcio sacrificando sanità ed educazione. L'appello al principe 22enne
Non hanno un leader, non hanno una catena di comando, rifuggono da qualsiasi affiliazione partitica e ideologica, non parlano di Gaza. Sono i ragazzi che da una settimana scendono in strada per le città del Marocco chiedendo la rimozione del governo. Età media, sotto i 18 anni, almeno per il 70 per cento dei manifestanti, dicono le autorità. Quest’onda disordinata di giovani e giovanissimi, tutti classe “GenZ” e “GenAlpha”, urla slogan che in passato hanno già risuonato per le strade di Rabat e Agadir: “Libertà!”, “dignità!”, “giustizia sociale!”. Nel 2011, il movimento del 20 febbraio portò ad alcune riforme costituzionali. Ora si torna in piazza in quelle che sono per numeri le rivolte più imponenti dalla Primavera araba in poi. Il bersaglio è una classe politica accusata di essere corrotta e iniqua.
Sono i giovani di “GenZ 212”, dal prefisso telefonico internazionale del Marocco. Sulla scia di quanto già accaduto in modo eclatante in Nepal e in Madagascar, le rivolte dei giovani ora si affacciano sul Mediterraneo. Fino a un paio di settimane fa, il movimento contava poco più di mille persone che avevano cominciato a organizzarsi su social network come Discord, Twitch e TikTok. Oggi sono oltre 120 mila evogliono cacciare il governo di Aziz Akhannouch, ricco uomo d’affari accusato di avere sperperato le risorse del paese sacrificando la sanità e la scuola. Sotto accusa c’è la Coppa del Mondo di calcio del 2030, di cui il Marocco sarà tra i paesi ospitanti. Pochi giorni fa, il governo ha inaugurato uno dei nuovi stadi costruiti per l’occasione, il Moulay Abdellah di Rabat, costato 75 milioni di dollari. In tutto, sono stati già stanziati oltre 5 miliardi di dollari in vista del Mondiale. Cifre faraoniche che suonano come un affronto per i giovani manifestanti, che denunciano come ad Agadir, all’inizio di settembre, le disastrose condizioni sanitarie abbiano causato la morte di otto donne incinte. “Vogliamo un paese per tutti i marocchini, un paese per i malati, per gli analfabeti, i disoccupati e i poveri, non per i politici con la pancia piena. Vogliamo leader che servano il popolo, non i loro interessi”, scrivono su Discord.
Con un tasso di disoccupazione giovanile del 40 per cento a fronte di una popolazione di età inferiore ai 35 anni che raggiunge il 35 per cento, il Marocco versa in una situazione economica compromessa fin dai tempi del Covid. L’inflazione viaggia a livelli non lontani da quelli dell’epoca della pandemia e lo scorso febbraio re Mohammed VI ha promulgato un decreto con cui dissuadeva dal sacrificare capre e montoni come di consueto in occasione dell’Eid al Adha, a causa della difficile situazione economica del paese. Chi protesta sottolinea la “doppia velocità” dell’economia del Marocco, che mentre mostra ai turisti lo splendore delle mete più ambite, nasconde la realtà più povera e disperata delle zone periferiche, a Sale, Inezgane e Oujda.
Una vittoria della libera espressione democratica che però, dopo i primi giorni di manifestazioni pacifiche rischia di prendere una piega ben diversa. La mano dura usata dal governo per provare a sedare sul nascere il movimento ha portato all’arresto di centinaia di giovani e a scontri con la polizia. Tre ragazzi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza, sempre più in difficoltà a causa dell’ingresso nel movimento anche dei giovanissimi, appartenenti alla generazione Alpha, nati negli anni 10 e che hanno un atteggiamento più aggressivo, ricorrendo ai coltelli e al lancio di pietre. Il primo ministro Akhannouch è spaventato, parla di “necessità di un dialogo”, ma è complicato perché non esiste un leader o un portavoce in “GenzZ 212”, manca insomma un interlocutore. L’incoscienza e la determinazione a un tempo dei giovani manifestanti sembrano essere il propulsore delle proteste, che proseguono nonostante chi vi aderisca sfidi il sistema repressivo rischiando fino a 20 anni di carcere. Nel frattempo, re Mohammed rimane in silenzio. Finora i rivoltosi non hanno messo in discussione la monarchia e anzi hanno chiesto al sovrano di intercedere, rimuovendo il governo. Secondo le nuove leggi, cambiate proprio dopo la rivoluzione del 2011, i poteri del re sono molto ridotti e avrebbe bisogno dell’approvazione del Parlamento per cacciare Akhannouch. I giovani fanno appello anche al figlio, il principe 22enne Moulay el Hassan e loro coetaneo, affinché intervenga per fare valere le loro ragioni.
Il tutto mentre la protesta tende ad allargarsi nel resto della regione e ieri in Algeria sono scesi in strada migliaia di giovani per protestare contro il regime. Si fanno chiamare “GenZ 213”.