
LaPresse
Le ipotesi
Trump si ritira da tutto, tranne che dal Venezuela di Maduro
Secondo il New York Times, il segretario di Stato Rubio e il presidente starebbero cercando di giustificare un'operazione di regime change presentandola come una misura di sicurezza interna verso un regime accusato di esportare droga, delinquenti e migranti
“I piani del presidente Donald Trump per il Venezuela sono un mistero che si cucina a fuoco lento, però il mandatario del paese Nicolás Maduro sta sentendo il calore”, ha sintetizzato il New York Times. Un effetto di questo “calore” potrebbe essere l’apparente progresso sul caso di Alberto Trentini: all’incaricato d’affari in Venezuela, Giovanni Umberto De Vito, è stato infine permesso di visitare lui e l’altro cittadino italiano recluso, Mario Burlò, dopo oltre dieci mesi di detenzione; e il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, ha poi chiamato la sua omologa venezuelana Andrea Corao Faria, per ringraziare. Ancora, però, non si conoscono le accuse al cooperante italiano.
Un altro effetto sono le missive che Maduro ha iniziato a mandare a Trump, offrendogli di cooperare contro i narcos. Offerte che sarebbero state respinte dalla Casa Bianca. E poi c’è la mobilitazione culminata nell’annuncio di un decreto per la proclamazione di uno “estado de conmoción”, che dà al presidente i pieni poteri. E da lì filmati su donne venezuelane in sovrappeso che correvano in mimetica e col fucile, con commenti sarcastici di Trump e risposte di Maduro contro il loro “razzismo”. La vicepresidente e ministra degli Idrocarburi Delcy Rodríguez ha confermato che il documento è stato già firmato e potrebbe essere attivato immediatamente, con la limitazione di alcuni diritti per i cittadini – già abbondantemente limitati anche senza decreti (l’ultimo rapporto Onu sul paese documenta una politica sistematica di repressione statale tra luglio 2024 e agosto 2025, con omicidi durante le proteste, morti in custodia statale, oltre 2.200 detenzioni arbitrarie, torture, sparizioni forzate e violenze sessuali).
Durante il suo primo mandato, Trump aveva espresso un appoggio fortissimo all’opposizione venezuelana e al governo alternativo di Guaidó, tentando anche un’operazione di invio di aiuti a cui il regime di Caracas rispose con la forza. Questo suo secondo mandato lo ha però ottenuto con una campagna elettorale di fortissima critica a ogni coinvolgimento americano nel mondo, non solo in Ucraina. E una delle sue prime decisioni fu quella di mandare a Caracas come inviato Richard Grenell, ottenendo la liberazione di dieci americani detenuti e il rimpatrio di venezuelani espulsi in cambio di una proroga per restare nel paese al colosso petrolifero americano Chevron. Che, con lo sfascio della società di stato Pdvsa, è essenziale per mantenere un minimo di produzione petrolifera. Subito dopo, però, intanto che veniva raddoppiata una taglia su Maduro come narcotrafficante fino ad arrivare a 50 milioni, sempre Trump aveva ordinato lo schieramento al largo del Venezuela della squadra navale. E’ per questo che si inizia a pensare a un intervento imminente, nello stile con cui fu rimosso a Panama Noriega. Ci sono navi da guerra, aerei di sorveglianza, marine e un sottomarino d’attacco, e già vari attacchi a navi venezuelane accusate di portare droga, durante i quali sono state uccise 17 persone.
Come conciliare due cose in apparenza così contraddittorie? E’ possibile che le navi siano state inviate per distrarre dal sostanziale cedimento di Trump ai ricatti di Maduro. Solo che poi scelte del genere possono andare avanti per logica propria. Una seconda chiave ipotizza che ci sia all’interno della Amministrazione Trump un contrasto tra la linea di Grenell, favorevole alla trattativa, e quella del segretario di stato Marco Rubio, che in quanto oriundo cubano strettamente legato a ambienti anticastristi, vede il regime di Maduro come il fumo negli occhi. “Non permetteremo a un cartello, che opera o si spaccia per governo, di operare nel nostro emisfero”, ha dichiarato a Fox News. Una terza chiave ancora è quella secondo cui Trump e Rubio starebbero cercando di giustificare un’operazione di regime change dopo averne criticato la logica. Il New York Times ipotizza che si tratterebbe di presentare il tutto all’opinione pubblica non come un’operazione di intervento all’estero, ma come una misura di sicurezza interna verso un regime accusato di esportare droga, delinquenti e migranti in genere. Insomma, un ritorno alla Dottrina di Monroe secondo cui l’Emisfero Occidentale e le Americhe sarebbero diverse dall’altro “Estero”.