Il governatore

Mettere insieme l'inconciliabile. L'ambizione di Tony Blair a Gaza e i suoi detrattori

Paola Peduzzi

La presenza dell'ex premier britannico nel “board of peace” in Palestina ha scatenato un rigurgito degli odi del passato, con tutto l’armamentario ideologico di inizio secolo

Davvero qualcuno pensa che Tony Blair possa fare il governatore di Gaza? La domanda,  formulata in modo meno gentile, circola da giorni, da settimane, da quando l’ex premier britannico ha costruito, assieme all’Amministrazione Trump, il piano di pace che è stato presentato dal presidente americano lunedì.  La presenza di  Blair nel “board of peace” a Gaza ha scatenato un  rigurgito degli odi del passato con tutto l’armamentario ideologico di inizio secolo, con in più i riferimenti alla carriera di Blair dopo Downing Street, che lasciò nel 2007. C’è tutto: le “mani insanguinate” in Iraq, la sua sudditanza nei confronti dell’America (lo chiamavano “il cagnolino” di George W. Bush allora), i suoi legami con i regimi arabi, in particolare quello di Riad, e con tutti i globalisti del mondo (cosa che in realtà dovrebbe disgustare l’attuale presidente americano, Donald Trump, e invece). George Galloway, storico amico dei dittatori e nemico di Blair, dell’interventismo liberale e delle riforme, ha sintetizzato così il rigurgito: “Quando si è appurato che Satana era occupato altrove, Tony Blair è diventato la scelta migliore di Trump e Netanyahu per governare Gaza”. Poiché in questi giorni era in corso la conferenza del Labour britannico a Liverpool, s’è aperto anche un altro filone di discussione: questo protagonismo di Blair affosserà definitivamente il premier Keir Starmer che, tra tutte le colpe che gli vengono attribuite, ha anche quella di aver riabilitato l’ex premier? I deputati laburisti sono divisi, racconta Bloomberg, cosa non inusuale, la maggior parte sembra temere un ricasco negativo, visto che un blairiano come Peter Mandelson ha appena creato una baruffa nel Labour (è stato rimosso dall’incarico di ambasciatore britannico in America a causa della sua amicizia con Jeffrey Epstein), ma c’è anche chi riconosce all’ex premier i suoi meriti, in particolare uno: quello di essere  in grado di parlare con tutti, un buon negoziatore. John Rentoul, che fu il primo biografo di Blair, racconta sull’Independent la “convinzione” dell’ex premier “di avere il dono eccezionale di mettere insieme l’irreconciliabile” e la definisce in parte “giustificata”, ricordando che Blair ha negoziato gli accordi di pace in Irlanda del nord e ha mobilitato una Nato divisa e “un Bill Clinton riluttante” a muoversi contro Slobodan Milosevic. Poi certo c’è stata la guerra in Iraq e ci sono stati gli anni di Blair nel Quartetto per il medio oriente – dove l’ex premier ha lavorato per il riconoscimento di uno stato palestinese, è un grande sostenitore della politica dei “due popoli, due stati” – che si sono rivelati fallimentari, ma il punto per Rentoul è quello di capire in che cosa può essere utile oggi Blair, e forse la risposta sta proprio nella capacità di mettere insieme l’inconciliabile.

L’ex premier britannico ha lavorato a questo piano per mesi, ha incontrato a fine agosto a Washington il genero di Trump, Jared Kushner (che rientra a pieno titolo nella galleria dei mostri stilata dai detrattori), ha parlato con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e con molti leader della regione mediorientale (che ora hanno accolto il piano americano), e ha messo il suo centro studi, il Tony Blair Institute, al lavoro, con emissari ed esperti a fare la spola tra Londra e il medio oriente, grazie anche alla generosità  di Larry Ellison, il fondatore di Oracle, che è anche  un focoso sostenitore di Trump e che ha “reso grande”, dicono con sprezzo in molti, il centro studi di Blair e Blair stesso. L’ex premier insomma ha cercato di far parlare chi non si parla mai e di fornire una soluzione tecnica a una questione che è intrisa di odi storici, di terra, di religione e di violenza: è questa l’essenza del pensiero blairiano, costruire “grandi tende” per ospiti che non vogliono sedersi l’uno vicino all’altro provando a oltrepassare i tabù ideologici (compresi quelli dello stesso Blair: è difficile immaginare un compagno di viaggio più distante di Trump). Se l’ex premier britannico sia un visionario o un illuso probabilmente si scoprirà ancora prima che possa diventare il governatore di Gaza. 
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi