La debolezza dell'esercito venezuelano per difendere il regime di Maduro
Nonostante le cifre ufficiali parlino di milioni di miliziani, la capacità reale di difesa del paese è stimata in poche ore di resistenza. Droni iraniani, missili russi e flotte ridotte: gli esperti evidenziano assenteismo, carenze tecniche e scarsa prontezza
Secondo il Global Firepower Index, l’apparato militare del Venezuela si colloca al cinquantesimo posto tra i 145 paesi analizzati. Ma secondo diversi esperti ed ex militari venezuelani in pensione o in esilio, la capacità effettiva di resistenza del paese di fronte a un eventuale attacco americano non supererebbe poche ore.
La Fuerza Armada Nacional Bolivariana (Fanb) conta attualmente circa 123.000 effettivi: 63.000 nell’esercito, 25.500 nella Marina, 11.500 nell’Aeronautica e 23.000 nella Guardia nazionale, oltre a quasi 8.000 riservisti. A questi si aggiungerebbero i miliziani di cui il presidente Nicolás Maduro ha annunciato l’arruolamento lo scorso agosto: secondo le cifre ufficiali sarebbero già 4,5 milioni, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 8,2 milioni. In teoria, un numero paragonabile a quello dei venezuelani fuggiti all’estero negli ultimi anni; in pratica, però, anche nel clima di crescente censura, sono circolati numerosi video che mostrano l’altissimo tasso di assenteismo alle esercitazioni obbligatorie, e la palese impreparazione di chi vi partecipa.
L’esercito disporrebbe di 172 carri armati, tra cui 92 T-72B1 di fabbricazione russa, e 81 AMX-30 di origine francese: un segno evidente del passaggio, avvenuto con l’era Chávez, da una struttura militare integrata nel mondo occidentale a una sempre più dipendente da Mosca. La Russia ha fornito anche 123 veicoli da trasporto truppe BMP-3, sistemi d’artiglieria come i lanciarazzi Msta-S e Smerch, dodici batterie missilistiche antiaeree a lungo raggio S-300, i sistemi Buk, Pechora e i missili portatili Igla-S. Tuttavia, questa dipendenza ha aggravato i problemi di manutenzione, a causa della cronica carenza di pezzi di ricambio e di tecnici qualificati. Le difficoltà sono ancora più gravi per la Marina, che si basa in larga parte su forniture occidentali: fregate classe Lupo di costruzione italiana, pattugliatori oceanici spagnoli e un piccolo numero di sottomarini Tipo 209 tedeschi. Solo tre navi da pattugliamento oceanico rimangono operative, armate con missili iraniani considerati poco efficaci. Sei fregate missilistiche sono state vendute e il paese non dispone più di sottomarini funzionanti. Dei 22 caccia Sukhoi Su-30 di epoca sovietica, solo quattro sarebbero oggi operativi. Altri quattro F-16 statunitensi possono ancora volare, ma non sono dotati di sistemi missilistici funzionanti.
Nel complesso, la prontezza operativa dell’intera Fanb è stimata tra il 25 e il 40 per cento. Il regime afferma inoltre di disporre di circa 5.000 missili terra-aria portatili di fabbricazione russa che – secondo la propaganda ufficiale – sarebbero in grado di infliggere gravi perdite all’aviazione statunitense. Gli analisti militari, però, sottolineano che la gittata è troppo limitata per costituire una reale minaccia, e che potrebbero semmai agire come deterrente contro gli elicotteri.
Il Venezuela ha anche avviato un programma avanzato di droni, sviluppato con l’assistenza iraniana, ma anche in questo caso i livelli di addestramento sarebbero molto bassi. Negli ultimi anni le forze armate venezuelane sono state impiegate soprattutto nel controllo interno e nel sostegno al regime. Gli oltre duemila generali e ammiragli in servizio superano, per numero, quelli dell’intera Nato. Tuttavia, i ranghi inferiori non godono degli stessi privilegi: secondo i verbali raccolti dall’opposizione durante le presidenziali del 2024, il voto per Edmundo González Urrutia tra i militari di base sarebbe stato persino superiore alla media nazionale.
l'esclusiva del washington post