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Trump valorizza Erdogan e il suo ruolo nella Nato, ma sottovaluta le dipendenze di Ankara
L'incontro tra il presidente americano e il suo omologo turco si è concluso senza divergenze, ma i due hanno tenuto fuori la questione Gaza e l'alleanza con la Russia. L'unico punto su cui c'è davvero allineamento è il sostegno al leader siriano Ahmed al Sharaa
Ankara. Rivive la bromance tra Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan, che è tornato alla Casa Bianca dopo quattro anni. Non bisogna farsi trarre in inganno dal rinnovato feeling tra i due leader perché se da una parte ciò segnala che il gelo degli anni di Joe Biden è finito, dall’altra fa emergere le numerose criticità esistenti nelle relazioni tra Stati Uniti e Turchia. L’incontro si è concluso senza incidenti, anche perché i due leader sembrano aver concordato di tenere fuori dai colloqui sia la questione di Gaza sia quella di Israele, sulle quali esiste una divergenza incolmabile. La riconciliazione tra Erdogan e Trump conferma l’inizio di una stagione in cui il progresso democratico della Turchia non conta più agli occhi degli Stati Uniti. Sono stati firmati un accordo multimiliardario per la fornitura di aerei Boeing da oltre 200 passeggeri e un Memorandum d’intesa sulla cooperazione nucleare civile. Fonti giornalistiche attendibili vicine all’Amministrazione di Ankara riferiscono interessanti dettagli sull’incontro. Il presidente americano era furioso per la dichiarazione di Erdogan rilasciata a Fox News, secondo cui “Trump non sarebbe stato in grado di porre fine alle guerre a Gaza e in Ucraina”.
La sua irritazione ha costretto la direzione delle Comunicazioni presidenziali turca a fare subito una rettifica, sostenendo che il presidente apprezzava gli sforzi di Trump per la pace e che le sue parole erano state fraintese per una traduzione errata. Ma Trump ha mantenuto un atteggiamento fermo su alcune annose questioni, come quella relativa alle sanzioni inflitte nel 2019 alla banca turca Halkbank per aver aiutato l’Iran ad aggirare le sanzioni statunitensi. Inoltre, Trump ha chiesto a Erdogan di non acquistare petrolio e gas dalla Russia, dimenticando che Ankara dipende dai prodotti energetici di Mosca per il 41 per cento del suo fabbisogno. Erdogan si è sentito rifiutare da Trump anche lo sblocco dei 2 miliardi di dollari che la russa Gazprom aveva inviato alla Turchia per la costruzione della centrale di Akkuyu: questi fondi sono trattenuti nelle banche americane per effetto delle sanzioni di Washington a Mosca. Il presidente americano ha però cercato di rassicurare il leader turco circa il possibile raggiungimento, anche immediato, di un accordo sugli F-35, ma ha precisato che Erdogan dovrà in cambio fare qualcosa per gli Stati Uniti. “Se trovassimo un accordo, potremmo togliere immediatamente le sanzioni Caatsa (le sanzioni americane a Iran, Russia e Corea del nord, ndr) sull’industria della difesa turca e cedere gli F-35”, ha precisato Trump. Ma su questo c’è la forte contrarietà del Congresso. Un’altra richiesta di Trump è stata la restaurazione dello storico seminario greco di Halki.
L’unico punto su cui c’è allineamento tra Turchia e Stati Uniti è il sostegno al leader siriano Ahmed al Sharaa. L’idea di Washington è quella di una Siria unificata e sostiene la necessità dell’integrazione dei suoi alleati, le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda, nell’esercito siriano, sebbene con una maggiore autonomia locale rispetto a quella che Ankara preferirebbe. Trump apprezza molto la longevità politica del leader turco e la posizione di equilibrio assunta tra Mosca e Kyiv, che consente a Erdogan di dialogare sia con Vladimir Putin sia con Volodymyr Zelensky e non gradisce che non vi sia alcuna valorizzazione in Europa del prezioso ruolo di Ankara, in quanto potenza Nato, nella costruzione del sistema di sicurezza e di difesa dell’Ue, proprio in un momento in cui i paesi dell’est europeo sono minacciati da Mosca. La Turchia contribuirebbe a una soluzione post bellica assicurando la sicurezza del Mar Nero e la difesa dell’Ucraina, ma rifugge un coinvolgimento militare sul campo senza il sostegno degli Stati Uniti.
Anche se Trump tende a sopravvalutare il ruolo di Ankara, i fatti ci raccontano un’altra storia e l’incontro del 25 settembre conferma che la Turchia continua a dipendere dall’occidente per le sue esigenze difensive e dall’oriente per quelle energetiche. Nonostante le le dichiarazioni sull’espansione del settore della difesa di Ankara che la renderebbe “strategicamente autonoma”, la priorità di Erdogan è assicurarsi l’accesso alla componentistica occidentale essenziale, come i motori per il progetto di caccia indigeni. Nonostante gli sforzi di diversificazione, la Turchia dipende ancora fortemente da paesi come la Russia per l’energia, il che rappresenta una vulnerabilità importante. Per questo la vera strategia della Turchia è quella di praticare una politica multidirezionale e multidimensionale.

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