
Foto Ansa
da Damasco
Così la nuova Siria prepara le sue prime elezioni, con le cicatrici
Il 5 ottobre si terrà il processo di selezione per il Parlamento transitorio di Damasco. Un voto diretto, spiega l'Alta Commissione, non sarebbe possibile. Così il governo tenta di colmare il vuoto legislativo del paese
Damasco. Le parole “elezioni”, “democrazia” e “diritti delle minoranze” continuano a comparire in modo prominente nelle discussioni occidentali su come sarà giudicato il governo siriano guidato da Ahmed al Sharaa – che ieri ha parlato all’Assemblea generale dell’Onu – nonostante molti si chiedano se lo svolgimento di elezioni in un paese con milioni di persone ancora sfollate e con parti del territorio non sotto il controllo del governo centrale possa produrre qualcosa che assomigli a un organismo rappresentativo. Il 21 settembre, i media statali siriani hanno riferito che il processo di selezione per il Parlamento transitorio si terrà il 5 ottobre. Nelle settimane precedenti l’annuncio, poche persone nel paese sapevano chi potesse anche solo essere preso in considerazione come candidato; i capi tribali sembravano gli unici su cui vi fosse dibattito riguardo a chi potesse essere il rappresentante più appropriato.
Sebbene inizialmente fossero state pianificate elezioni indirette per questo mese, con date provvisorie tra il 15 e il 20 settembre, vari ritardi hanno portato a un rinvio. I media locali hanno riferito che le liste finali dei candidati sono state pubblicate il 18 settembre, con tre giorni concessi al pubblico per presentare ricorsi contro qualsiasi candidato ritenuto non qualificato o con legami con il precedente regime. Per oltre quattro decenni, sotto i governi degli Assad, padre e figlio, le elezioni sono state una “farsa”, affermano molti siriani. L’Assemblea del popolo è stata sciolta a dicembre dopo la destituzione dell’ex presidente e dittatore Bashar el Assad. Ora, lamentano alcuni funzionari governativi, lo stato siriano è sostanzialmente costretto a basarsi in larga parte su leggi approvate sotto il regime dittatoriale dei decenni scorsi, finché non sarà insediato un nuovo Parlamento. Tuttavia, “la realtà in Siria non consente lo svolgimento di elezioni tradizionali, data la presenza di milioni di sfollati interni ed esterni, l’assenza di documenti ufficiali, la fragilità della struttura legale”, ha osservato il governo siriano a fine giugno.
Anas al Abdeh, uno degli undici membri dell’Alta Commissione per le Elezioni dell’Assemblea del popolo, istituita con decreto presidenziale il 2 giugno, ha parlato al Foglio delle elezioni e del ruolo di questa commissione. “Qualsiasi stato si regge su tre pilastri: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario”, spiega Abdeh, che è stato presidente della Coalizione nazionale siriana dal 2019 al 2020 e che ha completato i suoi studi superiori nel Regno Unito: “Al momento in Siria abbiamo soltanto l’esecutivo e il giudiziario”. La dichiarazione costituzionale firmata dal presidente della Siria definisce “come il Consiglio legislativo – o ‘pilastro’ – sarà formato – dice Abdeh – Su questa base, abbiamo creato un meccanismo per istituire il consiglio legislativo”. L’Alta Commissione, composta da undici membri, include siriani provenienti da “regioni e contesti diversi” ed è stata incaricata di “proporre il meccanismo più efficiente per la formazione del Consiglio legislativo sulla base della dichiarazione costituzionale”, che stabiliva che “due terzi del Consiglio saranno formati da collegi elettorali nelle varie province e un terzo sarà nominato dal presidente”. Queste nomine, sottolinea Abdeh, mireranno a correggere eventuali squilibri di rappresentanza in termini di alcune comunità e componenti, nonché in termini di donne, e non semplicemente a permettere al presidente di nominare persone della sua cerchia ristretta. Alla domanda sul perché il voto diretto non fosse un’opzione al momento, Abdeh ha risposto che “la risposta semplice è che non è possibile: la metà del popolo siriano è o sfollata internamente o rifugiata all’estero. Non sappiamo dove si trovino molte migliaia di siriani – se siano vivi o morti, soprattutto quelli che erano in prigione al tempo del regime. E non conosciamo gli indirizzi esatti di milioni e milioni di siriani, e dunque il registro elettorale non è valido”. Inoltre, “il regime ha distrutto parte del registro civile nei suoi ultimi giorni”, aggiunge Abdeh.
“L’Onu è stata d’accordo con noi e ha detto che non è possibile tenere elezioni dirette”, spiega l’ex presidente della coalizione di opposizione, e “in questo caso abbiamo due opzioni: o tutti i membri vengono nominati dal presidente, o dal consiglio rivoluzionario se ce n’è uno, oppure si opta per un voto indiretto tramite collegi elettorali. Nell’interesse di aumentare al massimo la partecipazione del nostro popolo, abbiamo optato per il voto indiretto”. Abdeh dice che “non si tratta di un concetto nuovo. E’ stato applicato in molti paesi del mondo. Uno degli esempi più famosi è il Sudafrica: quando crollò il sistema dell’apartheid, non fu possibile tenere elezioni dirette e quindi si scelse il voto indiretto tramite collegi elettorali. Noi stiamo facendo esattamente la stessa cosa”.