
LaPresse
L'editoriale del direttore
Perché il caso Disney-Kimmel ci ricorda quanto i mercati aiutino a proteggere la democrazia dai populisti
Dopo la sospensione del programma "Jimmy Kimmel Live", per mandato di Trump, il titolo della multinazionale ha perso quasi il due per cento per un valore di circa 3,87 miliardi di dollari. E alla fine Disney ci ha ripensato
Trovare punti di riferimento stabili, credibili, costanti e soprattutto efficaci a difesa della democrazia liberale, oggi, è un’operazione spericolata, quasi eroica, che raramente offre soddisfazioni concrete. La difesa della democrazia liberale, oggi, una difesa coerente, come si direbbe, non episodica, non strumentale, è diventata disgraziatamente negoziabile e capita spesso di osservare in giro per il mondo, intorno al vecchio globo terracqueo di meloniana memoria, osservatori, politici, intellettuali pronti a erigere barriere contro le esondazioni illiberali ogni qual volta le suddette esondazioni hanno un colore politico diverso da quello che si ha più a cuore. Esiste però un caso formidabile, un’eccezione alla regola, in cui l’argine contro i nemici della democrazia liberale funziona sia che la minaccia arrivi da destra sia che arrivi da sinistra. L’argine, da qualche mese, è tornato a funzionare, in modo costante ma non sempre apprezzato, e l’argine a cui facciamo riferimento ha avuto un ruolo non di poco conto, qualche giorno fa, nel costringere la Disney a fare un passo indietro rispetto a una scelta dettata da un diktat violento di Trump: sospendere il “Jimmy Kimmel Live”.
Trump, lo ricorderete, aveva autorizzato il presidente della Fcc, Brendan Carr, presidente della Commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti, a minacciare ritorsioni alla Disney se non avesse sospeso il programma di Kimmel, colpevole secondo i trumpiani di essere stato poco rispettoso di Kirk e di Trump stesso in uno sketch comico. La Disney, il 17 settembre, ha scelto di sospendere il programma. Il 22 settembre ha scelto di rimetterlo in onda, cambiando solo l’orario. In questo arco di tempo è successo quello che capita spesso quando in una democrazia un politico tende ad accendere il ventilatore dell’autoritarismo: sono intervenuti i mercati. Nel caso specifico, il titolo Disney è crollato, ha perso quasi il due per cento, la caduta si è tradotta in una perdita di valore di circa 3,87 miliardi di dollari, e Disney ci ha ripensato. Non è la prima volta che il mercato, e la globalizzazione, nella pazza, disordinata e illiberale stagione trumpiana ha dimostrato di essere un antidoto con cui governare le follie. E’ successo il 2 aprile, quando Trump ha scelto di annunciare il suo Liberation Day, promettendo dazi molto elevati in mezzo pianeta. Pochi giorni dopo le borse sono crollate, i rendimenti dei titoli di stato americani hanno raggiunto i livelli di guardia, e sette giorni dopo l’annuncio Trump è stato costretto prima a una moratoria di novanta giorni e poi a una politica più prudente anche se sempre sconvolgente sul tema dei dazi.
Lo stesso processo, in fondo, è successo con Elon Musk, costretto a rivedere le coordinate del suo estremismo, e la sua partecipazione alla vita di coppia con Trump, subito dopo i molti crolli in Borsa di Tesla, e da quando Musk è tornato a fare l’imprenditore le azioni di Tesla sono tornate a correre (ad aprile un’azione Tesla valeva 200 dollari, oggi 371). E lo stesso processo in fondo è capitato all’Europa che ha trasformato il mercato in un argine al trumpismo al punto da considerare il protezionismo un’arma così pericolosa da essere arrivata a sbloccare numerosi accordi di libero scambio proprio per governare l’isteria illiberale del metodo Trump: prima con l’accordo sul Mercosur, appoggiato finalmente anche dall’Italia, e ora con l’accordo con l’Indonesia, finalizzato ieri. La democrazia liberale non è mai stata così sotto attacco come negli ultimi mesi, da parte di chi la odia ma anche da parte di chi dovrebbe difenderla, e mai come oggi tutti coloro che nel passato recente hanno cercato di creare una simmetria tra la difesa del mercato e la proliferazione del populismo non possono non ammettere di aver raccontato per anni balle: le borse aiutano la democrazia a resistere, i mercati spingono come dimostra anche il caso italiano il populismo a non proliferare, la globalizzazione aiuta il mondo ad allontanare le guerre commerciali e forse non solo quelle.