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Nel Regno Unito
Kate, Camilla, Melania: regalità della tigna in tutte le sue sfumature
La principessa è la versione-nuovo-secolo di una vecchia aspirazione borghere, la regina consorte una materia resistente al fuoco che trionfa rimanendo, mentre la first lady un concetto che deve solo controllare il presidio dello stile
Nella parata un poco imbalsamata, a Londra, della visita dei Trump, la resistentissima etichetta Buckingham regala un interessante spettacolo. Per chi facesse caso a questi dettagli, c’erano in capannello a parlarsi tra loro, vestite da cerimonia e con cappello, le tre eminenze più grigie della terra. Tre signore spesso confuse con decorative, tre ostinazioni a confronto, tre forme superiori di determinazione aliene a noi della razza di quelli che vivacchiano come capita.
Kate Middleton
Kate è la versione-nuovo-secolo di una vecchia aspirazione borghese: la scalata verso l’aristocrazia totale, il sogno che hanno alcuni di esistere in qualità di ruolo. La sua tigna è quella della forma – la perseveranza che si esercita aderendo completamente a un codice fino a non sentirlo più. C’era una volta la pronipote di un minatore, si chiamava Kate ed era venuta al mondo con due fortune: implacabili ambizioni sociali e una madre votata alla politica matrimoniale strategica. Non fu astuzia predatoria, è stato più un lungo lavoro di rosicchiamento del limite. Era dal 1660 che una commoner non sposava un re inglese. La storia era contro, la statistica era contro, la famiglia era (all’inizio) contro. Ma se c’è una cosa che sanno i forti, è che le possibilità non sono mai a favore. Non c’è nulla di spontaneo, in Kate, epperò nemmeno di artificioso: se non è una prodezza questa, non saprei cos’altro. Non è il calcolo del dettaglio, non ne ha mai avuti troppi, di dettagli da notare. E’ la reiterazione: farà quello che ti aspetti, la vedrai come te la immagini. La sua forza è la continuità, la si riconosce sempre, è sempre leggibile. La tigna è della specie contrattuale: ubbidisce al matrimonio con la diligenza di una funzionaria. E’ definibile forse come carisma al contrario, questa permanenza nella correttezza? O è carisma nella sua massima espressione? Potrebbe essere entrambe le cose.
Camilla Parker Bowles
Camilla è un’altra versione di tenacia. Camilla è fatta di una materia resistente al fuoco. Il tipo di vincitrice che trionfa rimanendo, e poco altro. Ha attraversato quarant’anni di batoste pubbliche e private: la rivale senza pietà di una principessa santificata, vedete voi. Camilla resta intatta dopo i crolli, la sua forza è quella. Il tipo di inerzia che hanno i sassi: basta non muoversi. Nemmeno puoi dire che è di pasta incolore, quella tenacia, in realtà trattasi di un dispositivo perfetto di potere passivo. Philip Roth ha scritto di quelle come lei: è il gatto che guarda il pesce rosso, ma i denti ce li ha il pesce rosso. Lascia che gli altri si consumino, così si estinguono, lei sta lì. Si è impegnata a sviluppare un talento micidiale, l’indifferenza agli eventi. La guerra la vince chi dura un quarto d’ora in più, c’è scritto pure nella Recherche. Ha aspettato che il tempo passasse, e il tempo è passato. In lei c’è qualcosa di quasi premoderno, anzi grecissimo: una concezione del potere come accumulo di resistenza. La capacità di tenersi saldi vince su tutto, supera ogni amore e ogni intelligenza.
Melania Trump
Qui c’è un esercizio di controllo dell’immagine muta che arriva fino all’astrazione. Melania è un concetto. Chi ha capito Melania Trump? Nessuno, enigma. Una porcellana di un metro e ottanta in un mare di disinteresse per quello che le capita intorno. A differenza di Kate, che segue un codice, e di Camilla, che è sopravvissuta per attrito, Melania deve solo controllare il presidio dello stile. La sua determinazione non è opportunista né sentimentale, è visiva. E’ una disciplina del corpo, della faccia muta, della distanza, dei molto probabili accordi legali di permanenza accanto a quel che resta da sopportare di quell’orrendo marito. Una specie di trofeo che si autodifende. Qualità non banale.