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portafoglio aperto
Londra accoglie “l'invasione AI” americana, contando sulla crescita. Che cosa dà in cambio
Il piano anglo-americano permetterebbe al Regno Unito di unirsi al gruppo di nazioni dotate di una strategia per le AI ben definita. Ben venga quindi la benedizione d'oltreoceano. A quale prezzo? Aprire il governo e la macchina statale britannica ai prodotti Microsoft, OpenAI e Anthropic
“Relazione speciale” può voler dire tante cose. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, per esempio, ha indicato la vicinanza politica – oltre che linguistica, ovviamente – tra Regno Unito e Stati Uniti d’America, in una specie di passaggio di testimone tra imperi. Una relazione speciale, però, non è per forza pacifica o sempre armoniosa, come ha ricordato il sindaco di Londra Sadiq Khan, mentre martedì Donald Trump scendeva dall’Air Force One e iniziava la visita di stato nel Regno Unito. In un editoriale per il Guardian, Khan ha ricordato che parte di questa relazione d’eccezione “include l’essere aperti e onesti l’uno con l’altro”, incoraggiando il governo a non cedere del tutto alle pressioni del governo e dell’industria statunitense. A giudicare dallo stato delle trattative, però, sembrerebbe essere troppo tardi per questo.
È senz’altro un segno dei tempi che al centro della scena ci siano le aziende tecnologiche statunitensi, ormai allineate a Trump e fisicamente vicine a lui in questo viaggio, nelle persone di Sam Altman (capo di OpenAI) e Jensen Huang (Nvidia), i due “top player” delle intelligenze artificiali, che sono a Londra per discutere di un ambizioso programma di investimenti in data center, da costruirsi proprio nel Regno. In realtà Trump e il primo ministro laburista Keir Starmer parleranno anche di altro, soprattutto di dazi e di eventuali modi per non ledere ulteriormente le esportazioni di acciaio e alluminio, in particolare. La visita del presidente americano arriva in un momento particolarmente complicato per il governo Starmer, alle prese con le dimissioni della sua vice Angela Rayner, con la rimozione dell’ambasciatore a Washington, Peter Mandelson, a causa dei suoi legami con Jeffrey Epstein, e con l’ascesa del leader di Reform Uk, Nigel Farage, l’amico inglese di Trump. Starmer non può permettersi di rifiutare gli investimenti offerti dai giganti statunitensi per nuovi data center. E del resto, si potrebbe dire, perché dovrebbe farlo? La crescita del settore delle AI – in particolare dell’infrastruttura necessaria al suo funzionamento – è tale da trainare di fatto l’economia statunitense da ormai un anno, e le migliaia di miliardi di dollari che il settore sborserà nel corso dei prossimi anni hanno un effetto stravolgente: gonfiano il valore di aziende come Nvidia (ma anche Meta, Google e Microsoft, oltre che Oracle e Amd), attirano personale specializzato e arricchiscono le imprese che fisicamente costruiranno questi stabilimenti.
Il piano, quindi, non fa una piega, e può permettere al Regno Unito di unirsi allo sparuto gruppo di nazioni dotate di una strategia per le AI definita: tra queste, i paesi del Golfo, che stanno investendo e tessendo relazioni sia con le aziende statunitensi sia con quelle cinesi. A rendere Londra una pedina unica, quanto meno in questa parte di mondo, è il suo essere parte dell’Europa ma non dell’Unione europea, e quindi di essere libera dai “legacci” burocratici e normativi che il settore Big Tech detesta ormai apertamente (per tacere di Trump). E quindi, ben venga la benedizione AI d’oltreoceano. Per la quale, però, bisogna dare qualcosa in cambio, ad esempio aprendo il governo e il funzionamento della macchina statale britannica ai prodotti di Microsoft, OpenAI e Anthropic. Come ha notato il Times, i tentativi fatti finora per rottamare l’Online Safety Act, la legge a difesa dei minori online approvata nel 2023, non sono andati a buon fine, forse perché anche la destra statunitense è troppo sensibile alla causa. O forse è solo questione di tempo.
A oggi, a visita appena iniziata, sul piatto ci sono perlopiù promesse di investimenti e numeri allettanti, come i 700 milioni che Blackrock è pronta a investire nel paese. Rimane comunque ancora da chiarire se questi progetti saranno finanziati del tutto, e quanto sia conveniente, soprattutto nel lungo periodo, aprire il Regno Unito alla “invasione AI americana”, come l’ha definita un rappresentante del settore dei data center, sempre al Times. Quel che è certo è che la strada verso l’indipendenza strategica e tecnologica dei paesi europei risulta oggi ancora più in salita: sviluppare una politica per le AI “Made in Europe” avrebbe bisogno di enormi risorse e finanziamenti, oltre che un’unità politica che sembra assente. In compenso, il settore Big Tech americano è già qui, pronto, col portafoglio aperto.


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