Lo scenario

La strategia del porcospino d'acciaio che può sbloccare i negoziati per l'Ucraina

Vincenzo Camporini

L'Italia ha evocato l'idea di un “simil articolo 5” in base al quale una nuova aggressione da parte Russa darebbe il via a una reazione anche armata da parte dei “volenterosi”. Ma non è così semplice. Scenari e alternative

Il tema delle garanzie alla sicurezza dell’Ucraina, dopo che si sarà raggiunto un accordo pur precario di ‘cessate il fuoco’, animerà il dibattito ancora a lungo, per il semplice motivo che ancora non si intravvede neppure lo schema di una convergenza tra le parti in causa. Da parte occidentale proseguono i negoziati tra i cosiddetti “volenterosi” sia sugli aspetti più propriamente politici, sia su quelli prettamente organizzativi della pianificazione militare, mentre dal fronte opposto i non si avverte nessun allentamento della pressione militare, sia sulla linea del fronte, sia su quello della campagna aerea contro gli insediamenti urbani e si rigetta come ostile una qualsiasi ipotesi di presenza di truppe dei paesi occidentali sul suolo di Kyiv, al punto da affermare che diventerebbero obiettivi ‘legittimi’. Anzi, l’episodio dello sciame di droni che ha violato lo spazio aereo polacco può davvero rappresentare un test delle capacità occidentali di reagire efficacemente a una qualsiasi forma di atto ostile.

 

Sul tema non poca è la confusione, ma ha fatto chiarezza un’intervista di Wolfgang Ischinger, ambasciatore tedesco che ha guidato a lungo la conferenza sulla sicurezza che si tiene a Monaco di Baviera nel febbraio di ogni anno. In buona sostanza Ischinger prende atto del rigetto russo della garanzia formale dell’ingresso di Kyiv nell’Alleanza Atlantica così come di una qualsiasi ipotesi di schieramento di forze occidentali sul territorio ucraino. Si potrebbe ipotizzare l’intervento di paesi terzi, non coinvolti finora nel conflitto, come Egitto, Brasile o India, sotto controllo delle Nazioni Unite, soluzione che sarebbe però paralizzata dal potere di veto dei membri del Consiglio di Sicurezza, di cui fanno parte Russia e Cina. Anche un contingente esterno pronto a intervenire nel caso di una violazione russa ad un ipotetico futuro armistizio viene indicata come ipotesi puramente teorica: troppo facile da parte di Mosca creare un incidente mettendo in scena una ‘false flag’, un atto provocatorio di cui attribuire la responsabilità all’altra parte, per ripiombare in una ripresa delle ostilità, questa volta estesa ai “volenterosi”.

 

L’unica via realistica è quella della strategia del ‘porcospino d’acciaio’, cioè quella di sostenere senza tentennamenti la logistica dell’Ucraina, rifornendo le sue forze con continuità dei sistema d’arma necessari e alimentando l’industria bellica di Kyiv, che ha ampiamente dimostrato di padroneggiare le più avanzate tecnologie. Secondo Ischinger, in definitiva, bisogna far capire a Putin che non può conseguire gli obiettivi da lui stesso dichiarati e che questa guerra non la può vincere: solo così sarà possibile avviare trattative serie, alla ricerca di un compromesso, di cui oggi è impossibile immaginare i reali contenuti.

 

 

Questa visione si scontra ovviamente con le incognite sul futuro atteggiamento degli USA dopo Anchorage, dopo la riunione dello SCO a Tianjin e la parata militare di Pechino. Quanto valgono le vaghe promesse di Trump di fornire una copertura aerea? E che conto si può fare sui flussi informativi necessari alla condotta efficace delle operazioni, quando Tulsi Gabbard, la Direttrice dell’Intelligence USA, ha chiuso i rubinetti anche per i paesi alleati, soci del riservatissimo club dei “Five Eyes”: UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda? I paesi europei hanno nel medio periodo le potenzialità tecnologiche industriali per dare un sostegno consistente all’Ucraina, ma per farlo c’è bisogno di tempo e soprattutto di volontà politica e qui non si possono nascondere le fragilità delle diverse situazioni interne nei diversi paesi, a partire dalla Francia. Da parte italiana si è evocata l’idea di un “simil articolo 5”, pur senza una formale adesione alla NATO dell’Ucraina, un patto in base al quale una nuova aggressione da parte Russa darebbe il via ad una reazione anche armata da parte dei “volenterosi”.

 

Superfluo osservare che Mosca considererebbe questo passo del tutto equivalente ad un ingresso dell‘Ucraina nella NATO e che lo rigetterebbe, anche perché per poter essere efficace, comporterebbe una cooperazione militare da attuare anche sul territorio di Kyiv. Un patto del genere peraltro necessiterebbe di una specifica e peculiare catena di pianificazione, comando e controllo, diversa e separata da SHAPE e dalle sue articolazioni, da costituire in forma permanente. Si torna quindi al punto di partenza: occorre fare in modo che il proseguimento delle ostilità da parte russa comporti costi e rischi di tale entità fa far ridurre le pretese di Putin a un qualcosa di negoziabile. E’ fattibile? Tecnicamente la risposta è sì, ma tutto dipende dalla volontà politica, su entrambi i lati dell’Atlantico.

 

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