Ibrahim Dabaiba e Saddam Haftar

diplomazia al lavoro

A Roma l'incontro tra Haftar Jr. e Dabaiba Jr. Si parla di pace (e di palestinesi)

Luca Gambardella

Il consigliere di Trump, Massad Boulos, vede Tajani e discute di come evitare una nuova guerra a Tripoli. Il “no” italiano alla ricollocazione dei Gazawi a Bengasi

Martedì a Roma gli americani hanno condotto degli incontri segreti di alto livello per scongiurare il rischio di una ripresa dei combattimenti in Libia, che resta sospesa sull’orlo di una nuova guerra civile. Il consigliere di Donald Trump per il medio oriente e l’Africa, Massad Boulos, ha visto i due giovani leader in pectore dell’ovest e dell’est del paese: da una parte  il nipote del premier di Tripoli, Ibrahim Dabaiba, dall’altra il figlio di Khalifa Haftar, Saddam.  Era la prima volta che i due si incontravano di persona e il fatto che il vertice si sia tenuto a Roma è considerato un piccolo successo della diplomazia italiana. 

 Ibrahim Dabaiba è  il deus ex machina del sistema di potere gestito dallo zio Abdulhamid a Tripoli, tanto che in molti in Libia lo considerano coinvolto nell’omicidio di Abdel Ghani al Kikli, comandante dell’Apparato di supporto alla stabilità, una milizia che un tempo era alleata di Dabaiba ma che poi era diventata di intralcio per il premier. Saddam Haftar è invece fresco di nomina a vicecomandante delle Forze Armate dell’est e si vocifera che il padre Khalifa sia pronto a svestire la divisa per candidarsi alle prossime elezioni, lasciando al figlio il comando delle forze di sicurezza della Cirenaica. 

 

Sebbene i negoziati di martedì siano finiti sotto il patrocinio di americani ed emiratini, l’Italia è interessata a mantenere sotto controllo i flussi migratori dalla Libia ed è tra i pochi attori esterni che si stanno muovendo concretamente per scongiurare una nuova guerra civile nel paese. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani mercoledì ha avuto un incontro con Boulos e, secondo quanto raccolto dal Foglio, la settimana scorsa anche il viceministro della Difesa libico, Abdulsalam al Zoubi, è stato a Roma per degli incontri informali e tornerà presto per un altro giro di consultazioni.  

 

 

Boulos, padre del genero di Trump, ha parlato con i giovani Dabaiba e Haftar di molti argomenti, il primo dei quali è il tentativo di ricomporre la situazione della sicurezza a Tripoli. Non è un affare semplice, perché il premier Abdulhamid Dabaiba sente che il tempo a sua disposizione potrebbe scadere da un momento all’altro, sotto la pressione internazionale che spinge per un suo passo indietro e le elezioni. Da quando ha fatto uccidere Kikli, lo scorso maggio, Dabaiba è stato abbandonato dagli Emirati Arabi Uniti e soprattutto dalla Turchia, che da mesi è impegnata ad armare Haftar. Il premier non può più contare nemmeno sul sostegno incondizionato delle Nazioni Unite, che seppure lo riconoscano come capo di un governo legittimo vogliono che la Libia vada alle urne e ha già elaborato una tabella di marcia in tal senso. Dabaiba ha poca voglia di lasciare il potere ed è per questo che ha avviato un’operazione pericolosa, tentando di sbarazzarsi dei suoi vecchi alleati ormai diventati scomodi. Prima ha fatto uccidere Kikli, poi ha lanciato un’offensiva contro la Rada, le milizie che controllano l’aeroporto di Mitiga. La seconda parte del suo piano però è fallita miseramente perché la sua prova di forza ha portato le milizie di Zawya a intervenire al fianco della Rada, che resiste asserragliata a Mitiga. Dabaiba però non desiste. Da giorni ha assembrato uomini e mezzi  tra Misurata, Bani Walid e la capitale, tutti pronti a lanciare un’offensiva contro la Rada. Di conseguenza, Haftar ha spostato i suoi più a ovest, a Sirte, ed è pronto a muovere su Tripoli qualora il colpo di mano di Dabaiba dovesse volgere al fallimento. Se c’è una cosa che sia Dabaiba sia Haftar hanno in comune è il desiderio di mantenere le proprie posizioni di leadership per dettare le proprie regole in vista delle elezioni a cui tiene tanto la comunità internazionale. Le trattative proseguono e coinvolgno molti attori esterni alla Libia. Prima di volare a Roma, Haftar era stato al Cairo e dopo avere visto Dabaiba si è recato ad Abu Dhabi per fare rapporto al suo sponsor emiratino.

Fonti del Foglio hanno riferito però che a margine dei tavoli diplomatici di Roma si è discusso in via informale anche della questione dei palestinesi. Gli americani non hanno fatto mistero della loro idea di inviare in Libia centinaia di migliaia di profughi dalla Striscia di Gaza. Secondo indiscrezioni riportate da Agenzia Nova il mese scorso, si era parlato  di un milione e mezzo di Gazawi. Sarebbe stato proprio Haftar a proporsi agli americani, dicendosi pronto a concedere ai palestinesi la cittadinanza. Il ministro dell’Agricoltura israeliano, Avi Dichter, aveva commentato favorevolmente l’opzione libica per i palestinesi, e in un’intervista al quotidiano israeliano Maariv aveva detto che “si tratta della soluzione ideale”. In proposito però l’Italia resta scettica e anche in questi giorni ha ribadito a libici e americani che accogliere dei palestinesi in Libia sarebbe controproducente. In primis, perché porterebbe a schierarsi in maniera  netta dalla parte di Trump e del premier israeliano Benjamin Netanyahu a proposito del piano – molto controverso – che prevede lo svuotamento di Gaza e la costruzione dell’ormai celebre “Riviera”. In secondo luogo, perché questo potrebbe incidere sull’unico, grande tema che preoccupa la nostra diplomazia in Libia, ovvero quello dei migranti. La presenza di un numero cospicuo di profughi palestinesi pronti a prendere il mare o a sobillare movimenti di resistenza anti israeliani a poche miglia dalle nostre coste è poco desiderabile per l’Italia.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.