
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto Ap, via LaPresse)
C'è un giudice a Washington. E sui dazi di Trump non è detta l'ultima parola
La Us Court of Appeals for the Federal Circuit ha stabilito che l’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa) non conferisce al presidente l’autorità di imporre dazi a tappeto bypassando il Congresso
Per le imprese colpite dai dazi di Trump – e per tutto il commercio globale – c’è ancora speranza. La Us Court of Appeals for the Federal Circuit, nella serata di venerdì, ha infatti stabilito che l’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa) non conferisce al presidente l’autorità di imporre dazi a tappeto bypassando il Congresso. La lunga sentenza, supportata da sette giudici contro quattro contrari, ribadisce la cosiddetta “major questions doctrine”, l’idea che qualsiasi potere esecutivo che voglia regolare un tema di “ampio significato politico ed economico” debba farlo solo con l’autorizzazione del Congresso. In passato era stata utilizzata per fermare politiche democratiche, come la decisione dell’Epa di imporre un programma di riduzione delle emissioni di carbonio, o il piano di Biden di cancellare il debito studentesco. E ora tocca a una delle politiche di punta di Trump, che non ha mai nascosto di mal sopportare i “pesi e contrappesi” del sistema istituzionale americano.
I diritti delle imprese, insomma, valgono ancora qualcosa. Perché al di là delle dichiarazioni contraddittorie di Donald Trump e dei suoi fedelissimi (reali o immaginari, come Ron Vara), i dazi sono tasse, e limitano la capacità di scambiare, acquistare ed essere attori liberi e responsabili nel mercato. Una cosa che un tempo non piaceva nemmeno ai repubblicani, e sicuramente non piace alle imprese americane che non riusciranno a compensare con i sussidi pubblici.
Per le imprese e i consumatori, la decisione è una vera e propria ancora di salvezza. Importatori di qualunque bene, dalle biciclette ai prodotti ittici, rischiavano l’estinzione sotto il regime tariffario unilaterale di Trump. A pagare il prezzo (letteralmente), sarebbero stati gli americani comuni, costretti a sobbarcarsi oneri più alti. La corte ha protetto entrambi da un esperimento economico tanto azzardato quanto pericoloso.
Ma la vera questione al vaglio è l’idea che la presidenza equivalga alla facoltà di agire senza limiti e senza vincoli. Come invece vorrebbe Trump, che nei giorni scorsi, rispondendo a chi chiedeva se ci fosse aria di dittatura, ha dichiarato di poter fare essenzialmente ciò che vuole: “Sono il presidente degli Stati Uniti. Se penso che il nostro paese sia in pericolo, lo posso fare”. Il Federal Circuit invece sembra rispondere che il bilanciamento dei poteri stia ancora in piedi.
La battaglia legale, in ogni caso, non si ferma qui. decorrenza della sentenza è fissata al 14 ottobre, per dare tempo alle autorità doganali di adeguarsi: una pausa che consentirà all’amministrazione Trump di riorganizzarsi, e nel caso fare appello alla Corte Suprema (che, ricordiamolo, è fortemente influenzata dalle nomine trumpiane). “Al momento non sappiamo se questo caso arriverà alla Corte Suprema”, ha dichiarato al Foglio Ilya Somin, il giurista della George Mason University che ha portato i dazi in tribunale. “E dunque non possiamo sapere che cosa stabilirà. Ma spero che riconoscerà, come ha fatto il Federal Circuit, che il presidente non ha il potere illimitato di imporre dazi, come invece sostiene”.
Se ci arriverà, non sarà solo un test per capire se il libero commercio ha ancora un valore negli Stati Uniti, ma anche per verificare lo stato di salute del sistema di pesi e contrappesi che dovrebbe limitare un potere che, altrimenti, sarebbe immenso. E mentre già agita lo spettro della “grande depressione” per spaventare l’opinione pubblica, Trump dimostra una volta di più la logica che lo anima: l’uso dell’emergenza per l’accentramento delle decisioni, così come la delegittimazione dei giudici. Ma è proprio contro questa tentazione che i checks and balances tornano a mostrarsi per quello che sono: non un freno all’azione politica, bensì la condizione necessaria per impedire che la democrazia americana si trasformi in una caricatura autoritaria.