
Chip Roy, membro del Freedom Caucus (foto ANSA)
un vuoto simulacro
La fine del Freedom Caucus al Congresso e di un pezzo di storia americana
Dal tea party alla rivoluzione trumpiana dei repubblicani. A fare le spese della leadership del presidente americano è quel temuto raggruppamento dalle idee ultraliberiste e iperconservatrici della Camera dei Rappresentanti. Cronaca di un gruppo in disfacimento
La storia del moderno partito repubblicano americano è fatta anche di strappi, ribellioni più o meno di successo e rovesciamento dell’ordine precedente. Fondati soprattutto sul vigoroso, spesso anche aspro e scorretto, dibattito di idee. Con il trumpismo, certe cose non servono più. Ci vuole solo allineamento. A farne le spese è il Freedom Caucus della Camera dei Rappresentanti, temuto raggruppamento dalle idee ultraliberiste e iperconservatrici che ha le sue radici nel movimento del Tea Party, a sua volta cresciuto grazie alla ribellione contro l’establishment repubblicano di George W. Bush e Dick Cheney. Oggi molti di questi membri tornano nei loro stati di residenza per candidarsi, forse per portare il loro stile brusco di negoziazione, che tiene costantemente la linea dura senza compromessi. Chip Roy si candida a diventare il nuovo procuratore generale del Texas, mentre Byron Donalds, Andy Biggs e Ralph Norman puntano a diventare governatori di Florida, Arizona e South Carolina. Un caos totale che ci racconta di un gruppo in disfacimento. Lo stesso Chip Roy, forse il più visibile del gruppo, alla fine ha votato per tutti i provvedimenti proposti dall’Amministrazione Trump, compreso il Big Beautiful Bill che, secondo lui, avrebbe fatto “esplodere” il debito. Nella Washington militarizzata dalla Guardia nazionale finisce quindi una storia con radici ben più profonde di quelle del Tea Party.
Bisogna risalire al 1955 e alla fondazione della National Review da parte dell’ex agente della Cia William F. Buckley per trovare la nascita di quello spirito di ribellione contro la percepita acquiescenza dei repubblicani sotto l’amministrazione di uno di loro, il generale Dwight Eisenhower, che sembrava aver accettato alcuni pilastri del New Deal: il Welfare State e la spesa pubblica usata come stimolo economico, disinteressandosi per giunta delle battaglie etiche su stato minimo, difesa dei valori tradizionali e un vigoroso anticomunismo. Per anni tutto questo è rimasto a livello di dibattito intellettuale, fino al successo di Barry Goldwater, colorito senatore dell’Arizona che a sorpresa vinse la nomination repubblicana del 1964, scioccando il corpaccione del partito che sosteneva Nelson Rockefeller, governatore di New York che rappresentava al meglio un’èlite dannatamente simile ai dem moderati. Goldwater perse contro il dem Lyndon Johnson all’indomani dell’assassinio di Jfk. Ma la sua eredità non è andata dispersa.
Tra i pochi che rimasero a sostenerlo c’erano due suoi successori, l’ex vicepresidente Richard Nixon ma soprattutto l’attore Ronald Reagan: ex democratico che avrebbe perfezionato la svolta conservatrice repubblicana collegando la ribellione goldwateriana dei piccoli imprenditori e dei professionisti laureati al mondo degli evangelici e degli ex segregazionisti in fuga dal partito democratico del Sud. Con la sua ascesa alla presidenza si era affermato un nuovo paradigma: difesa strenua del libero mercato, lotta vigorosa contro il comunismo sovietico e difesa convinta della tradizione religiosa. Qualche critico del reaganismo dice che in questa nuova coalizione c’erano già i germi del trumpismo e forse è proprio così, se pensiamo che un suo ex collaboratore come Pat Buchanan, direttore della comunicazione alla Casa Bianca, avrebbe fornito i germi del nazionalismo etnocentrico trumpiano. Resta però il fatto che la leadership trumpiana ha anche divorato quello che sembrava uno dei pilastri imprescindibili del Gop sin dalla fondazione negli anni 50 dell’800: la difesa della libertà d’impresa, oggi piegata a logiche pseudosocialiste in favore degli obiettivi proposti dal capo. Quindi non sembra strano che l’ultimo reduce del Tea Party di una volta che fu una spina nel fianco costante di Barack Obama, il deputato Thomas Massie del Kentucky, sia uno degli oppositori e nemici più strenui del trumpismo ultima maniera, un corpo totalmente estraneo alla storia del conservatorismo americano. E anche se rimarrà formalmente attivo, il Freedom Caucus rimarrà un vuoto simulacro dei tempi che furono, proprio come il partito repubblicano di oggi.