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Il timore di una nuova Jalta
L'escalation tra America e Venezuela aumenta l'isolamento dittatoriale di Maduro
Nei negoziati per la liberazione di Alberto Trentini si parla di una mediazione di Eni. Intanto Caracas alza i toni e sfrutta la diplomazia degli ostaggi
Il 15 agosto sono trascorsi nove mesi dall’arresto in Venezuela Alberto Trentini, e martedì prossimo sarà un mese dall’ultima delle sole due telefonate che gli è stato permesso di fare alla famiglia. Dopo il fallimento della missione dell’inviato della Farnesina Luigi Vignali, tra chi si occupa di affari venezuelani ora si parla sempre più di un possibile ruolo dell’Eni, che potrebbe far pesare 2,1 miliardi di euro di credito verso Caracas. La società italiana gestisce infatti sin dal 2015 in Venezuela il giacimento di gas Perla, attraverso una società che si chiama Cardon IV Venture e la cui proprietà ha in parti uguali con la spagnola Repsol, e per la cui estrazione la società di stato venezuelana Pdvsa è in gravissimo arretrato di pagamenti. Il modello del negoziato su cui si starebbe lavorando per liberare Trentini sarebbe dunque simile a quella più complessa in cui il leader venezuelano Nicolas Maduro ha rilasciato dieci prigionieri statunitensi in cambio di 250 venezuelani espulsi dagli Stati Uniti e mandati in El Salvador. Dopodiché, Trump ha rinnovato alla Chevron una licenza per operare in Venezuela di cui aveva annunciato la fine.
Da subito, però, Trump aveva occultato la transazione dietro chiassose dichiarazioni: “Maduro non è presidente legittimo”, e poi: “Il Venezuela continua a mandare droga al nostro paese. Non possiamo permetterlo”. Adesso si sta sviluppando una vera escalation. Da una parte, infatti, il governo americano ha prima raddoppiato la taglia su Maduro fino a 50 milioni di dollari. Poi, attraverso la procuratrice generale Pam Bondi ha ordinato il sequestro di beni appartenenti al presidente venezuelano per un valore di quasi 600 milioni di euro. In un’intervista a Fox News la stessa Bondi ha spiegato che durante l’operazione hanno trovato di tutto, da una villa nella Repubblica dominicana a denaro contante, gioielli, orologi, auto di lusso e persino cavalli. Dopo ancora è stato annunciato lo schieramento al largo delle coste venezuelana delle tre cacciatorpediniere Uss Gravely, Uss Jason Dunham e Uss Sampson, note per le loro capacità antiaeree, antisommergibile e di difesa contro obiettivi di superficie. La motivazione ufficiale è il contrasto al narcotraffico ma, appunto, Maduro è stato classificato come narcotrafficante. Non solo dagli Stati Uniti, peraltro. Anche la Guyana, cui Maduro vorrebbe prendere oltre metà del territorio, denuncia che la maggior parte della droga che vi entra viene dal Venezuela. E sia il Paraguay sia l’Ecuador hanno classificato come organizzazione terrorista il Cartello dei Soli, il gruppo di narcotraffico che sarebbe gestito dagli alti comandi del regime di Caracas.
Ma anche Maduro sta alzando i toni. Non solo denunciando la imminente aggressione americana e mobilitando quattro milioni e mezzo di miliziani, la cui capacità combattente effettiva è peraltro molto dubbia. Il caso appena denunciato di un cittadino francese arrestato senza accuse, come Trentini, illustra come la politica degli ostaggi del regime vada avanti senza il minimo scrupolo. A quanto si è saputo finora, il 41enne insegnante di yoga Camilo Pierre Castro è stato detenuto il 26 giugno al valico di frontiera di Paraguachón, tra Venezuela e Colombia, mentre si stava recando a rinnovare il suo visto colombiano scaduto. Come per Trentini, anche nel suo caso non si sa l’imputazione, non si sa dove sia detenuto, e non gli è permesso di contattare né le autorità francesi, né i familiari. Inoltre, sembra essersi scatenata una sorta di purga interna. Mercoledì l’Assemblea nazionale del Venezuela ha tolto l’immunità parlamentare a Julio César Torres Molina, deputato chavista, che sarà processato per narcotraffico, ma che secondo le voci sarebbe stato sospettato di complotto contro Maduro. Le stesse voci assicurano che pure perché sospettata di complotto è stata costretta a dimettersi Gladys Requena, l’ispettrice generale dei Tribunali in Venezuela. E c’è pure Mario Silva, conduttore del programma “La Hojilla” e uno dei principali opinionisti del chavismo, che martedì ha espresso preoccupazione per la mancanza di dichiarazioni da parte di Russia e Cina in merito al dispiegamento militare degli Stati Uniti nei Caraibi. Il timore di una nuova Jalta tra Putin e Trump in cui Maduro (e il Venezuela) sia stato scambiato con Zelensky (e l’Ucraina, lasciata all’influenza russa) a Caracas è palpabile.