
Putin è pronto per l'Alaska, ma sull'Ucraina non cambia idea
Le delegazioni, la sala stampa, gli orari. Se Trump apre a concessioni anche da parte americana, è Mosca che potrebbe non mollare sui punti importanti
Vladimir Putin è pronto per l’Alaska. Il suo consigliere per la politica Estera Yuri Ushakov ha comunicato nel dettaglio il programma del capo del Cremlino: Putin vedrà Donald Trump alle 22.30 ora di Mosca (in Italia saranno le 21.30). Prima i due presidenti parleranno faccia a faccia, con i soli interpreti al loro fianco. Poi si riuniranno le delegazioni. Infine, Trump e Putin terranno una conferenza stampa congiunta nella base di Elmendorf-Richardson, affacciata sulla Siberia.
La delegazione del Cremlino sarà composta da Ushakov, dai ministri degli Esteri Sergei Lavrov, della Difesa Andrei Belousov, delle Finanze Anton Siluanov e dal direttore del Fondo russo per gli investimenti all’estero Kirill Dmitriev. La formazione della delegazione è interessante: la presenza di Ushakov e di Lavrov è d’obbligo, di Belousov è formale, mentre quella di Dmitriev e Siluanov dimostra che il Cremlino ha voglia di parlare di affari e sanzioni.
Gli Stati Uniti hanno temporaneamente sospeso le sanzioni russe sulle transazioni necessarie a organizzare il vertice. L’esenzione scadrà il 20 agosto, ed è stato un modo per agevolare l’incontro, sul quale il presidente americano ha già detto che esiste il 25 per cento di possibilità che andrà male. Trump è ottimista, sui confini è sicuro che “sarà un dare e avere”, mentre per il quotidiano britannico Telegraph gli Stati Uniti sono pronti a mettere a disposizione della Russia le proprie risorse naturali e di offrire la fine delle sanzioni, anche sull’aviazione, pur di avere un accordo. Il segretario americano al Tesoro Scott Bessent sta valutando compromessi economici da offrire alla Russia per accelerare i negoziati, ma nell’immediato, per oggi, Trump ha già in mente due successi da intascarsi: ottenere un cessate il fuoco in Ucraina e il via libera per organizzare un vertice a tre, in cui far sedere allo stesso tavolo Putin e Zelensky. Tutti e due gli obiettivi auspicati dal presidente americano hanno un grado di complessità molto alto.
Il presidente americano questa settimana ha cercato di ammorbidire le attese, ma ha detto che le conseguenze per la Russia saranno serie se non accetterà un accordo. In teoria un’intesa esiste, è sul tavolo, e il Cremlino ha già avuto modo di farsene un’idea durante la visita di Steve Witkoff a Mosca la scorsa settimana. L’inviato speciale di Trump ha portato con sé una proposta, di cui finora sono usciti dettagli spifferati o immaginati. Per Putin il vertice è un colpo positivo, soprattutto alla sua immagine internazionale e, al di là della necessità di uscire dall’isolamento economico, qualcosa della proposta di Witkoff deve essergli piaciuto davvero per accettare un vertice organizzato in tempi così rapidi. Il capo del Cremlino verrà accolto in una base americana, stringerà la mano a Trump, e questi due elementi hanno il potere di normalizzarlo. I due obiettivi che si è posto Trump scontentano però una parte consistente dell’opinione pubblica russa. La guerra di Putin contro l’Ucraina è diventata una guerra della Russia tutta contro l’Ucraina, con una parte di commentatori molto seguiti e ascoltati che non vogliono la fine della guerra. Aleksandr Dugin, il filosofo di estrema destra al quale spesso viene attribuita un’influenza sul capo del Cremlino molto maggiore rispetto alla realtà, ha commentato: “Il vero successo sarebbe se Trump e Putin non menzionassero neppure l’Ucraina. Ci sono tante cose importanti di cui parlare”. Oltre a Dugin, anche i corrispondenti militari russi sono contrari a un cessate il fuoco. I corrispondenti militari russi accompagnano l’esercito e sostengono le sue azioni, sono dei propagandisti, spesso scontenti delle decisioni di Putin sul campo di battaglia. La Komsomolskaya Pravda, uno dei giornali più interni al potere russo e, secondo la testa di inchiesta The Insider, il più letto da Putin, ha pubblicato l’opinione di Aleksandr Kots, celebre corrispondente che dice: “Non facciamoci illusioni, la guerra non finirà venerdì”. Kots spiega che questo è un momento propizio per la Russia sul campo di battaglia e fermarsi vorrebbe dire ripetere lo stesso errore del 2014: lasciare agli ucraini e agli europei il tempo per riarmarsi. Kots era tra i sostenitori di una guerra da lanciare immediatamente nel 2014. Come Igor Girkin, detto Strelkov (il cecchino, lo sparatore), rimase deluso dalla decisione del Cremlino di aspettare. Girkin e Kots non hanno rilevanza politica. Il primo è un ex ufficiale dell’Fsb, poi messo a capo delle forze armate della sedicente Repubblica popolare di Donetsk, è in prigione da quando Putin, in seguito alla marcia di Evgeni Prigozhin verso Mosca, decise di non occuparsi più soltanto del dissenso di chi era contrario alla guerra in Ucraina, ma anche di quelli che, a favore della guerra, volevano insegnargli come farla. Girkin, prima di essere arrestato, aveva pubblicato un testo di accusa contro i generali di Putin da cui era nato “Il circolo dei patrioti arrabbiati”, ora dalla prigione non insidia più Putin, ma le sue idee sono rimaste, sono entrate in alcuni ambienti militari e tra la popolazione. Putin è soddisfatto del suo vertice con Trump, gli piace definirlo “bilaterale”, sottolineando che è una questione tra Russia e Stati Uniti, ma prima di partire per il suo viaggio di otto ore verso Anchorage (quello di Trump durerà leggermente meno) ha ripetuto che la posizione di Mosca non è cambiata e devono essere eliminate le cause che hanno generato il conflitto. Questa è la formula russa per dire che l’Ucraina deve essere disarmata per un futuro attacco. I russi, invece, continueranno a vivere nell’idea di uno stato di assedio permanente.