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la telefonata

Il Cremlino chiama Pyongyang. L'effetto Kim sui colloqui

Giulia Pompili

La parte più preoccupante dello scambio fra Russia e Corea del nord, in vista del vertice in Alaska, riguarda le tecnologie nucleari e missilistiche, “ma anche e soprattutto le forze convenzionali”, ci dice Sydney Seiler, ex inviato speciale degli Stati Uniti

Ieri Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un hanno avuto una telefonata, durante la quale, secondo la stampa russa, il capo del Cremlino avrebbe “condiviso informazioni con Kim nel contesto dei prossimi colloqui con il presidente Trump”. I due leader si sarebbero poi scambiati gli auguri per l’80° anniversario della liberazione della Corea dal Giappone, che ricorre il prossimo 15 agosto. Il dettaglio sul vertice in Alaska è stato omesso dai media nordcoreani, che hanno parlato soltanto di un elogio di Putin al “coraggio, eroismo e spirito di sacrificio dimostrati dai soldati dell’Esercito popolare coreano nella liberazione del territorio di Kursk”. Secondo diverse analisi, gli uomini messi a disposizione da Kim per la guerra di Putin contro l’Ucraina sono stati un fattore determinante per cambiare la posizione della Russia nei colloqui, anche se il ruolo di Pyongyang, soprattutto in Europa, continua a essere spesso ridimensionato.

Sydney Seiler, che è stato prima inviato speciale degli Stati Uniti per i Six Party Talks con Pyongyang tra il 2014 e il 2015, poi al National Intelligence Council per la Corea del nord dal 2020 al 2023, dice al Foglio che la relazione di Kim con la Russia è ancora in evoluzione, ma il dittatore “si sta comportando con consapevolezza e sicurezza” rispetto al passato, quando a quelle che chiamavamo periodiche “provocazioni” corrispondeva una necessità di apertura al dialogo. Per Seiler la parte più preoccupante dello scambio fra Russia e Corea del nord riguarda certo le tecnologie nucleari e missilistiche, “ma anche e soprattutto le forze convenzionali”, cioè l’addestramento dei soldati nordcoreani a combattimenti operativi. E se Trump abbia fatto bene o no a incontrare Kim nel 2018, Seiler dice: “In realtà, anche ai tempi di Obama ne avevamo parlato. Lui voleva andare in Corea del nord, ma poi la situazione internazionale è cambiata, e doveva mandare un messaggio forte sulla denuclearizzazione. Trump ha pensato: perché non parlare con i nostri nemici? Il problema è che lui sulla denuclearizzazione, nei negoziati con la Corea del nord, non ha fatto mezzo passo avanti”. Ed è il motivo per cui oggi Pyongyang si sente protetta, sia dal suo rapporto con la Russia, sia dal fatto che le sue armi nucleari sono pressoché intoccabili.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.