
Il vertice di Ferragosto
“Aljaska nasha”, l'Alaska è nostra. Nazionalismo e investimenti. La Russia all'incontro con Trump
Il ruolo di Kirill Dmitriev e le suggestioni dietro la scelta del luogo dell'incontro. L'Artico come promessa del Cremlino a Trump per convincerlo ad abbandonare l'Ucraina e abbracciare una futura collaborazione tra Usa e Mosca fatta di investimenti
L’ex ambasciatore americano in Russia, Michael McFaul, continua a scrivere su X: “Nothing about Ukraine without Ukraine”, nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina. Da quando è stato annunciato l’incontro tra il presidente americano e il capo del Cremlino, McFaul ha riportato più e più volte il messaggio che fu un mantra dell’Amministrazione Biden, nella speranza che Donald Trump lo recepisca. McFaul è stato ambasciatore a Mosca fino al 2014, raccontò di essersene andato perché la Russia aveva montato una forte campagna di disinformazione contro di lui e nel 2018, quando Putin e Trump si incontrarono a Helsinki, il capo del Cremlino propose di procedere a un controinterrogatorio: avrebbe permesso all’Fbi americana di interrogare agenti dell’intelligence russa se gli americani avessero fatto altrettanto, consentendo ai russi di interrogare americani che avevano commesso reati a Mosca. Nella lista delle persone da interrogare, il Cremlino aveva inserito anche McFaul. A Trump, la proposta di Putin sembrò “un’offerta incredibile”. McFaul ha ragioni personali per temere il Cremlino e da diplomatico ne conosce bene il potere. Quando è uscita la notizia che il secondo bilaterale fra Trump e Putin si sarebbe tenuto in Alaska, il diplomatico ha domandato: “Qualcuno sa chi ha avuto l’idea di tenere l’incontro Trump-Putin in Alaska?”.
I russi avevano detto di volere l’incontro in un paese amico, tanto da aver rifiutato la possibilità di un vertice a Roma, ma non hanno battuto ciglio sull’Alaska, che si trova negli Stati Uniti e che un tempo era di proprietà degli zar. Il consigliere di Putin per la politica estera, Yuri Ushakov, si è limitato a osservare la comodità per il presidente russo di dover soltanto attraversare lo Stretto di Bering per arrivare all’incontro. Alcuni utenti hanno messo sui social delle foto che sarebbero state scattate nella regione di Krasnojarsk, nella parte occidentale della Siberia, dove sono apparsi dei cartelli con la scritta: “Aljaska nasha”, l’Alaska è nostra, a indicare che l’incontro tra i due presidenti in un posto che entra nella storia sia della Russia sia degli Stati Uniti sta scaldando delle fantasie nazionaliste. Le località di un incontro non sono mai casuali e per quanto americana, l’Alaska oggi per i russi rappresenta la visione del mondo del Cremlino, secondo la quale “i confini non sono scritti nella pietra e il territorio può essere una moneta di scambio per l’arte di governare”, scrive il Financial Times, notando ovviamente tutta la differenza tra la guerra di Putin per strappare all’Ucraina le sue regioni sud orientali con la violenza e la transizione pacifica che nel XIX secolo portò lo zar Alessandro II a vendere l’Alaska agli americani. Il simbolismo vale fino a un certo punto e anche se oggi alcuni nazionalisti sono pronti a ripetere “Aljaska nasha”, riecheggiando i vari “Krym nash” (La Crimea è nostra) o “Donbas nash” (il Donbas è nostro”) con cui iniziò la guerra contro l’Ucraina di undici anni fa, lo stato americano nell’estremo nord piace ai russi anche perché è affacciato sulla più grande delle promesse di collaborazione tra i due paesi: l’Artico.
Da mercoledì scorso, quando l’inviato speciale americano Steve Witkoff aveva lasciato Mosca e l’annuncio di un incontro tra Trump e Putin era già stato trasmesso al mondo, la stampa russa aveva iniziato a raccontare tutte le possibilità di cooperazione tra Russia e Stati Uniti. Il capo del Cremlino poteva finalmente apparire come il leader potente che andava a stringere la mano al presidente americano. I russi sono convinti che il presidente americano si convincerà di tutte le possibilità di affari che si possono stringere con Mosca e che durante la sua visita in Russia, Witkoff ha potuto già subodorare. La guida di Witkoff, nelle sue visite sul territorio russo, è sempre stata Kirill Dmitriev, capo del Fondo russo per gli investimenti all’estero. Dmitriev ha scritto su X: “Il dialogo Putin-Trump porterà speranza, pace e sicurezza globale”. L’economista russo, nato in Ucraina e con un percorso di studi negli Stati Uniti, da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca è diventato una figura ancora più di rilievo sia per il suo inglese fluente sia perché si è fatto alfiere di un rapporto tra Stati Uniti e Russia fatto di investimenti che puntano soprattutto alla cooperazione nell’Artico, promessa e sbandierata come terra di possibilità per i due paesi. Trump ha detto di andare in Alaska per capire cosa ha in mente Putin ed è possibile che il capo del Cremlino metterà l’Ucraina alla fine della lista degli argomenti. Per confondere e irretire il capo della Casa Bianca, le sue pretese territoriali potrebbero finire sotto una serie di promesse di ricchezze, dalle strategie nell’Artico, agli investimenti a Mosca – secondo i media russi Witkoff e Dmitriev hanno visitato insieme un albergo che potrebbe diventare una nuova Trump Tower – all’offerta di collaborazione in medio oriente per far finire la guerra tra Israele e Hamas e tenere a bada la Repubblica islamica dell’Iran, dove alcuni funzionari iniziano a dire che non escludono di tornare al tavolo dei negoziati con gli americani. Trump per i russi è prevedibile, anche gli ucraini iniziano a temere di aver capito fin troppo bene il presidente americano e aspettano il 15 agosto preparandosi al peggio. Come nota McFaull: “Il tono di Trump su Russia e Ucraina è cambiato di nuovo. Zelensky viene nuovamente dipinto come il provocatore. Parole più gentili per Putin. Non va bene”.

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Verso il vertice in Alaska: la voce dell'Europa


L'editoriale del direttore