Meloni in Turchia, trilaterale con Erdogan e Dabaiba (LaPresse) 

la diplomazia nel Mediterraneo

La scelta di incontrare Dabaiba a Istanbul: Meloni guarda al futuro

Alissa Pavia

Meloni scommette su Ankara per guidare la strategia mediterranea italiana, per gestire flussi migratori e dossier libico, tentando di mantenere un ruolo centrale nei nuovi scenari post-7 ottobre. Il cambio di passo e i nuovi equilibri

L’incontro tra la premier Giorgia Meloni, il primo ministro libico Abdulhamid Dabaiba e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, tenutosi lo scorso weekend in Turchia, dove i tre leader hanno discusso di migrazione e della proposta di una “coalizione mediterranea”, evidenzia il ruolo sempre più centrale della Turchia come potenza regionale. Un ruolo rafforzatosi a partire dagli attacchi del 7 ottobre e oggi cruciale sia nel Mediterraneo sia nel medio oriente allargato. Meloni sembra aver colto appieno questa dinamica, consapevole che senza il coinvolgimento di Ankara  difficilmente l’Italia potrà raggiungere accordi concreti sulla gestione del Mediterraneo.


Il viaggio della premier a Istanbul si inserisce in un più ampio tour nel Mediterraneo – che ha previsto anche una tappa a Tunisi, dove ha incontrato il presidente Kais Saied – volto a contenere le partenze irregolari di migranti, che sono in aumento verso la Grecia,  e per rafforzare i rapporti con i paesi della regione.  


 Il ruolo turco in Libia resta centrale, e se la premier spera di mantenere una posizione di leadership sul dossier libico, mediare con Erdogan diventa di vitale importanza. Durante la guerra civile,  Ankara è stata l’unico attore a intervenire militarmente a sostegno del governo di Tripoli nel 2019, inviando truppe per respingere l’offensiva di Khalifa Haftar, comandante della Cirenaica appoggiato da Mosca. Mentre le potenze occidentali si rifiutavano di intervenire – in netto contrasto con l’intervento della Nato del 2011 contro Gheddafi – la Turchia si è affermata come il principale alleato dell’ovest, consolidando una presenza duratura.

 
Negli ultimi anni Ankara ha avviato un riavvicinamento politico anche con la Cirenaica di Haftar: il Parlamento di Tobruk ha persino valutato un accordo marittimo con la Turchia, simile a quello siglato con Tripoli nel 2019, a discapito della Grecia. Sebbene l’intesa sia attualmente in stallo, il solo fatto che sia stata presa in considerazione segnala l’espansione dell’influenza turca anche a est.

 
Su scala regionale, Erdogan ha intrapreso una strategia di “engagement” per ricucire rapporti con i vicini dopo anni di frizioni. Se nel decennio precedente aveva cercato di sfruttare l’ascesa della Fratellanza musulmana per affermarsi come potenza egemonica – un progetto fallito – dal 2021 la Turchia ha cambiato approccio, spinta soprattutto da necessità economiche. Ha così avviato un riavvicinamento con l’Egitto, dopo la rottura totale del 2013 in seguito al golpe di al Sisi e alla caduta di Morsi, e con i paesi del Golfo, fino ad allora diffidenti per i legami turchi con il Qatar. Le aperture diplomatiche si sono concretizzate con la visita di Erdogan al Cairo nel 2024 e il tour nei paesi del Golfo del 2023.


La vera svolta per Ankara, tuttavia, è arrivata con la caduta del regime siriano di Bashar el  Assad nel dicembre 2024. Con l’ascesa dei ribelli sostenuti da anni da Ankara, Erdogan ha ottenuto un ruolo di primo piano in Siria, beneficiando al contempo dell’indebolimento della presenza russa nella regione e del nuovo governo guidato da al Sharaa.

  
E’ in questo contesto che va compresa la scelta del presidente Erdogan di convocare Dabaiba e al contempo la premier Meloni. Inizialmente l’idea era di discutere della strategia nel Mediterraneo con l’Italia, ma Erdogan ha poi scelto di invitare anche Dabaiba per esercitare influenza e dimostrare a francesi e inglesi di volere appoggiare il  governo di Tripoli, a dimostrazione che Ankara non solo mantiene un’influenza significativa sulla Tripolitania, ma si sta imponendo come interlocutore in grado di mediare e influenzare equilibri chiave in tutto il Mediterraneo. A differenza delle monarchie del Golfo, la Turchia gode inoltre di una forte legittimità presso l’opinione pubblica araba grazie al suo storico sostegno alla causa palestinese e al rifiuto di normalizzare i rapporti con Israele, in contrasto con la linea seguita dagli Accordi di Abramo. Ankara non è solo una potenza emergente capace di influenzare gli equilibri regionali, ma anche un attore imprescindibile per gestire la questione migratoria. Rafforzare il rapporto con la Turchia significa garantirsi un alleato strategico per mantenere sotto controllo le partenze irregolari dalle coste libiche, confermando il ruolo di Ankara come alleato cruciale nella stabilità del Mediterraneo.
 

Alissa Pavia è direttrice associata Atlantic Council