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Sui dazi di Trump l'Europa non ha vinto, ma gli Usa hanno perso

Fabio Sabatini

L’accordo commerciale con gli Stati Uniti è stato frettolosamente raccontato come un’umiliazione di Bruxelles.  Ma se guardiamo alle conseguenze economiche l’immagine cambia. E l'aliquota del 15 per cento è abbastanza alta, ma nel complesso sostenibile. Ecco perché

L’accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea è stato frettolosamente raccontato come un’umiliazione di Bruxelles. Ma se guardiamo alle conseguenze economiche l’immagine cambia e l’intesa somiglia a un pareggio, o perfino a una piccola vittoria, anziché a una sconfitta. E così anche la presunta umiliazione denunciata in coro da tanti opinionisti rivela contorni molto più sfumati. 

La maggior parte dei beni europei sarà soggetta a un dazio uniforme del 15 per cento, che sostituisce le imposte attualmente in vigore, con eccezioni strategiche come il settore aerospaziale e quello dei macchinari industriali, in cui l’Europa è il più grande esportatore netto verso gli Stati Uniti. Ai dazi si aggiunge l’impegno a investire  600 miliardi di dollari negli Usa entro il 2029, oltre a 750 miliardi di dollari di prodotti energetici nel prossimo triennio. L’aliquota del 15 per cento è alta abbastanza da poter provocare danni, ma nel complesso è sostenibile

Primo, non conta solo il livello assoluto delle tariffe, ma anche  quello relativo. E’ lo stesso tasso applicato al Giappone, leggermente più alto rispetto al Regno Unito, ma inferiore rispetto alla Cina e altri paesi esportatori, i cui prodotti non saranno più competitivi di quelli europei. Secondo, l’industria manifatturiera americana  non ha la capacità di sostituire le importazioni europee, almeno nei prossimi anni. Negli Stati Uniti, le imprese fronteggiano un clima estremamente incerto, e la forza lavoro ha abbandonato da tempo le manifatture per spostarsi nei servizi a più alto valore aggiunto. In queste condizioni, sarà difficile progettare investimenti necessari per fare concorrenza a prodotti realizzati in Europa o altrove in condizioni più favorevoli. Inoltre, qualsiasi investimento di questo tipo dovrebbe sopportare il fardello dei dazi sui prodotti cinesi e diverse materie prime, che impongono costi di produzione più alti proprio alle manifatture. Il risultato è che l’aliquota non sarà pagata dagli esportatori europei, se non in misura trascurabile (e potenzialmente neutralizzata dalle fluttuazioni del dollaro). Inoltre, le esenzioni pattuite finora proteggeranno molte esportazioni europee di valore strategico per le nostre economie. 

Quel 15 per cento sarà pagato quasi interamente dalle imprese e dai consumatori statunitensi. I dazi sono tasse sul consumo di beni importati, che fanno aumentare i prezzi di un ammontare generalmente pari all’aliquota. Le imprese americane sosterranno costi di produzione più elevati, e i consumatori pagheranno prezzi più elevati. Il potenziale aumento dei profitti connesso all’aumento dei prezzi è in genere più che compensato dall’aumento dei costi di produzione, con effetti negativi sulla domanda di lavoro e i salari. In altre parole, con questo e altri “accordi” Trump ha colpito l’economia americana dove fa più male.Non c’è alcun  motivo razionale per considerare questo esito una vittoria per l’amministrazione americana. 

D’altronde, l’effetto dei dazi sul gettito americano è incerto. Se le imprese e i consumatori sostituiranno i beni europei tassati con altri, il gettito sarà limitato. Se i beni tassati non saranno sostituiti in alcun modo, le imprese più esposte al commercio con l’Europa produrranno meno e gli americani ridurranno i consumi, rendendo trascurabili gli aumenti di gettito. Se, invece, consumatori e imprese continuassero ad acquistare beni europei come prima, pagando l’aliquota del 15 per cento, il gettito aumenterà, ma allora  il danno per l’Europa sarà nullo. 

Il rispetto degli impegni sugli investimenti, invece, dipenderà dal settore privato: sotto questo punto di vista, l’accordo è solo una vaga promessa, perché l’impegno delle istituzioni non è rilevante in merito. Gli acquisti di energia e armi sono in linea con le politiche di riarmo e riduzione della dipendenza dal gas russo già in corso. Gli importi sono significativi, ma non bisogna cadere nella trappola mercantilista che offusca già le capacità di valutazione di Trump: acquistare dagli Stati Uniti beni di cui abbiamo bisogno  non equivale a una sconfitta. Inoltre, stabilire dazi di ritorsione, come invocato da molti, sarebbe stato un errore. Ogni rappresaglia commerciale costringerebbe le imprese europee ad affrontare un aumento dei costi di produzione e provocherebbe un aumento dei prezzi per i consumatori. Infine, bisogna considerare che l’accordo non include le modifiche richieste da Trump alle normative sui servizi digitali, l’agricoltura e i prezzi dei farmaci. 

Per ora, l’Ue può rivendicare di aver preservato la propria autonomia regolatoria, nonostante le richieste delle multinazionali americane. Queste considerazioni non significano che l’aliquota del 15 per cento sia una novità positiva. Non c’è dubbio che, a causa dei dazi, le imprese europee potrebbero essere costrette ad affrontare delle difficoltà, in una misura incerta e non facile stimare adesso, con ricadute negative sulla loro domanda di lavoro, che potrebbero danneggiare l’occupazione e i salari. Tuttavia, gli Stati Uniti non riceveranno vantaggi significativi da questo accordo – che, al pari degli altri recentemente siglati da Trump, assomiglia più a un  atto di autolesionismo che a una vittoria – mentre l’Europa è riuscita a prendere tempo e a non compromettere alcuni obiettivi di breve periodo: limitare al minimo possibile i rischi per le imprese e i consumatori, preservare a un livello accettabile la propria competitività di sistema, e smorzare la guerra commerciale in un contesto di vulnerabilità militare nei confronti della Russia, guadagnando tempo e stabilità utili a costruire la necessaria e urgente autonomia strategica dagli Stati Uniti.   

Una volta chiarito che l’Europa non è stata sconfitta sul piano economico, anche  la narrazione dell’umiliazione politica va ridimensionata. Nonostante le apparenze, Trump non ha vinto – anzi, ha inflitto all’economia americana l’ennesimo colpo – e l’Europa è riuscita per ora a contenere i danni della guerra commerciale.
 

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